La Follia di Banvard


Questi uomini-pipistrello abitavano in una terra di troneggianti piramidi di zaffiro, in compagnia di stormi di colombe. Non era infrequente vederli mentre, nei momenti di riposo, mangiavano cetrioli.

L’estate scorsa mi sono recato in pellegrinaggio alla Biblioteca Trivulziana per consultare una copia della Fisiologia dell’Odio, di Paolo Mantegazza, scienziato di grande fama e luminare della medicina ottocentesca – cosa che non gli impedì di intitolare una sezione del suo libro elementi di bestemmiologia e un’altra valore morale e avvenire dell’antropofagia. Che c’entra con Banvard? C’entra, c’entra: perchè il libro in questione era ancora intonso, con le pagine ancora unite. Dal 1889, prima di me, nessuno lo aveva mai letto. E vorrei anche vedere. Comunque la stessa cosa è capitata a Paul Collins, autore di la Follia di Banvard, nel consultare l’edizione delle opere complete di Thomas Dick, astronomo e predicatore cristiano, convinto assertore della presenza di vita intelligente su tutti (no, dico, tutti) i corpi celesti dell’Universo. Ora, Thomas Dick fu famosissimo ai suoi tempi – grazie anche al clamore suscitato dalla scoperta di Urano e da altre faccende, mentre ora chi se lo – ehm – chi ne serba memoria? E il signor Banvard del titolo, John Banvard, fu il pittore più ricco dell’Ottocento, così ricco da farsi costruire un castello in America – che gli abitanti della zona chiamarono “la sua follia”. E ora è totalmente dimenticato, e nessuna delle sue opere è sopravvissuta fino a noi. René-Prosper Blondlot scoprì i Raggi N, che fecero impazzire la comunità scientifica internazionale finchè non ci si rese conto che era una cazzata. Comunque, lo avrete già capito, in questo libro il signor Collins ci racconta tredici storie di personaggi che godettero di fama, onori e ricchezze (o almeno due di queste tre cose) e che ora nessuno più ricorda. Alcune di queste storie sono incredibili, da film o da romanzo: George Psalmanazar, nativo di Formosa, fu rapito dai Gesuiti e portato in Europa, dove divenne una celebrità e scrisse numerosi libri sulla vita e i costumi della sua isola. Che in realtà era probabilmente l’Irlanda – e visto che nessuno era mai stato a Formosa, nessuno se la sentì mai di contraddirlo. Robert Coates fu un attore di incredibile successo, grazie alla sua totale incapacità di recitare e alla sua altrettanto completa incapacità di rendersene conto; ma la gente faceva la fila per tirargli gatti morti e verdura assortita. E William Ireland fu probabilmente, e suo malgrado, il più grande falsario shakespeariano di tutti i tempi. E dunque? Quale insegnamento ne traiamo? Che la fama non la decidono i posteri ma i contemporanei? O viceversa? O che siamo noi gli artefici tanto del nostro successo quanto della nostra caduta? O che la gente crede a qualunque minchiata purchè detta con sufficiente sicumera? Non lo so, e francamente preferisco lasciare la questione a chiunque se ne voglia occupare. Resta il fatto che una persona capace di realizzare la prima galleria della metropolitana di New York – con treno e tutto, beninteso – facendola passare praticamente sotto al Municipio all’insaputa del Sindaco; una persona che dedica la sua vita alla costruzione di una lingua universale che combina parole, musica, segni, colori e gesti, creando un meraviglioso universo sinestetico; un falsario capace di scrivere il manoscritto originale di una perduta opera dell’immortale bardo, il Vortigern, che fu poi persino messa in scena… insomma, eccoli qui i miei eroi, i miei miti, i miei compagni di merende, il pantheon, assieme a Lombroso, a Pujol, a Kircher, dell’Olimpo dei Cazzari: “Non c’è posto per loro in questo mondo migliore. Ma alziamo i calici a tutti questi bombaroli, a tutti questi bastardi, anche i più sgradevoli e imperdonabili. Beviamo alla loro salute, perchè non li incontreremo più.” – e mille punti a chi coglie la citazione.

PS: Fra parentesi, la lingua universale di cui sopra, il Solresol – ovviamente ci sono degli sconvolti che la parlano (o suonano, o cose così). Ecco Romeo e Giulietta in Solresol:


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4 pensieri profondi su “La Follia di Banvard

  1. ma guarda non avevo ancora detto qual’è la citazione!
    V for vendetta ovviamente… allora ho vinto qualche cosa? :-)

  2. per ora ti metto fra i miei preferiti. la lettura prevede tempi più lunghi di quelli che ho in questo momento. però, senza offesa, cambia questo marroncino, mette una tristezza.

  3. @gnagnera: brrrravo! hai vinto un gerundio a tua scelta!
    @marlene: grazie della fiducia! ma il marroncino penso lo terrò. sa di biblioteca vecchia e muffosa,piena di cianfrusaglie e acari, e ben si adatta sia al contenuto dei post, sia – purtroppo – al carattere dell’autore… 😉

  4. scusami: ho la linguaccia lunga e non la so tenere a freno…ma tornerò con calma. genio, follia … o molto tempo libero?

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