E ora, un po’ di fantascienza

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(Ok, tecnicamente non è proprio fantascienza fantascienza, quella di Asimov e compagnia bella; siamo più in territorio weird – cyberpunk o giù di lì. Oh, beh, che ci volete fare…)

1) Kraken, di China Mieville

Io a China Mieville ci voglio tanto bene, e al calamaro gigante pure, per cui questo libro mi sarebbe piaciuto anche senza leggerlo; però, boia, che fatica arrivare alla fine. Cominciamo  con le cose positive, così ci togliamo il pensiero: ottima (per quanto assurda) l’idea di partenza,  torrenziale come sempre l’immaginazione del buon China, e uno stile pirotecnico che dovrebbero, per  quanto possa sembrare strano, far tradurre a Bergonzoni.
Però.
Però questo libro è lunghissimo. Sono trecentomila capitoli nei quali tutti si agitano come criceti  forsennati senza mai combinare nulla. Si parte benissimo,  con un certo tono da commedia dark inglese  (e in effetti mi immaginavo il protagonista, Billy, uno sfigato curatore di museo, con la faccia di Simon Pegg), ci invischiamo in una storia assurda su una setta di adoratori del Calamaro Gigante e il furto di un esemplare del suddetto cefalopode conservato in formalina in un museo di Londra; e a metà del libro Billy è diventato un ninja-taumaturgo-profeta così, senza colpo ferire e la storia si incarta in una palude di sottotrame inutili e vicoli ciechi (per non parlare del finale del romanzo, che è una  cosa da andare a cercare l’autore sotto casa e schiaffeggiarlo con un merluzzo). I personaggi secondari spesso sembrano buone idee mal realizzate: ci sono gli immancabili poliziotti del mistero, per esempio, che però dopo tre capitoli, scusate il francesismo, hanno già scassato la  minchia; c’è un fantasma sindacalista, taumaturghi appassionati di Star Trek, adoratori di questo e di quello, tatuaggi parlanti e cattivi, cattivi, cattivissimi  killer che sai già che faranno la fine di Boba Fett. E infatti. Io mi  son fatto quest’idea che Mieville, da buon marxista, pensi che l’individuo conti meno della massa, e in effetti i suoi romanzi brulicano di “comparse”, ma raramente di “personaggi”, e men che meno di  “protagonisti” (chi si ricorda il nome del protagonista della Città delle Navi?); il che non è  necessariamente un male, ma certe volte lascia spiazzati, perchè ti chiedi “ma perchè mi stai  raccontando di questo tizio? E’ utile ai fini della storia o è solo un pretesto per parlare della tua  geniale trovata dello spiritello dell’Ipod? Non potremmo tornare alla trama principale?”.
Poi c’è la faccenda dell’immaginazione torrenziale di cui sopra: qualcuno dovrebbe ogni tanto dirgli  basta. Se hai millemila idee bellissime, bravo, beato te che ci riesci, ma non è detto che tu debba  metterle per forza TUTTE nel tuo romanzo; anche perchè il troppo stroppia, e buona parte di queste  geniali invenzioni finiscono semplicemente sepolte e dimenticate.
Insomma, una mezza delusione. Temo che Mieville stia imboccando la pericolosa discesa verso  l’autoparodia (ok, lo so, vorrà pure essere ironico, eccetera, però quando appaiono i Nazisti del Caos  non puoi fare a meno di alzare gli occhi dal libro e guardarti intorno con aria imbarazzata). Come M.  Night Shyamalan: spero non faccia la stessa fine.

2) Pop Apocalypse, di Lee Konstantinou

In un futuro non troppo remoto, tutto – ma proprio tutto – è coperto dal diritto d’autore. Così, se  qualcuno parla di te, deve pagarti i diritti; quindi, se sei famoso e tutti parlano di te, sei ricco.  Al che i genitori di Eliot, visto che il numero dei suoi amici, contatti e follower sui vari social  network ha raggiunto la massa critica, decidono di quotare il figlio in borsa. Il poveretto si ritrova  da un giorno all’altro a vivere in una specie di reality show, e a dover impostare le proprie scelte  personali in modo da soddisfare i suoi azionisti. Ma c’è un problema: Eliot è un minchione di prima  categoria, ed è incapace di rimanere due giorni di fila sobrio e lontano dai guai. E ce n’è un altro:  Eliot ha un sosia. Ovviamente, cattivo.
Il cyberpunk non mi ha mai convinto particolarmente, ma è la prima volta che mi capita una “commedia  cyberpunk”: ci sono tutti gli stereotipi del genere – tecnologie avanzate ma non fantascientifiche,  metodi di controllo pervasivi, una società ingiusta e instabile, un ambiente devastato e sull’orlo del  collasso, megacorporazioni avide e spietate, conflitti religiosi, sociali ed etnici ormai  incontrollabili – ma il tono è completamente diverso. Probabilmente è per questo che mi è piaciuto:  come l’autore, credo che un mondo così (non molto diverso dal nosto, poi) sia disperato, certo – ma non  serio.

3) Un Anno nella Città Lineare, di Paul di Filippo

Al centro della Città c’è una lunga strada rettilinea. Ai lati, due file di case. Oltre le case, il  Fiume da una parte e la Ferrovia dall’altra. Tutto qui. Al di là del Fiume e dei binari potrebbero  esserci il Paradiso e l’Inferno, per quel che se ne sa. In effetti, a guardare bene, in lontananza si  vedono le sagome indistinte degli psicopompi, che aspettano che qualcuno muoia per venire a prenderlo:  le Ittiodomine dalla coda di pesce o gli Ornitauri dalla testa di toro, creature immateriali e  inquietanti, il cui compito è portar via i cadaveri e le anime con essi. Per questo in Città non ci  sono cimiteri. E anche perchè sotto il livello del marciapiedi, sotto il tunnel rettilineo della  Sotterranea, sbucano le scaglie cornee del Cittanimale, la bestia gigantesca su cui la Città riposa.  Una Città infinitamente lunga, i cui quartieri si susseguono tutti uguali – all’apparenza; in realtà le  differenze ci sono, minime tra quartieri vicini, enormi tra quartieri separati da centinaia di migliaia  di chilometri: lingue diverse, usanze incomprensibili. Diego Patchen è uno scrittore di fantascienza  (o, come la chiamano qui, “narrativa cosmogonica”), alle prese con un lavoro difficile, un padre malato  e un mondo incomprensibile. E sebbene in questo racconto alla fin fine non succeda nulla o quasi,  l’entusiasmo con cui Diego difende i suoi voli di fantasia da chi preferisce l’introspezione  psicologica e le “le vicende qualsiasi della vita qualsiasi di persone terribilmente qualsiasi”, unito  all’assurdità dell’ambientazione, fanno di questo racconto una vera chicca. Lo si può trovare  nell’antologia “Le città del domani”, Fanucci (ahimè), assieme ad altre storie di China Mieville e di  Geoff Ryman, e al mitico Jerry Cornelius.

Kraken, di China Mieville

Io a China Mieville ci voglio tanto bene, e al calamaro gigante pure, per cui a questo libro non avrei

dato meno di tre stelline anche senza leggerlo; però, boia, che fatica arrivare alla fine. Cominciamo

con le cose positive, così ci togliamo il pensiero: ottima (per quanto assurda) l’idea di partenza,

torrenziale come sempre l’immaginazione del buon China, e uno stile pirotecnico che dovrebbero, per

quanto possa sembrare strano, far tradurre a Bergonzoni.
Però.
Però questo libro è lunghissimo. Sono trecentomila capitoli nei quali tutti si agitano come criceti

forsennati senza mai combinare nulla. I personaggi sono tutt’altro che memorabili; si parte benissimo,

con un certo tono da commedia dark inglese – e in effetti mi immaginavo il protagonista, Billy, uno

sfigato curatore di museo, con la faccia di Simon Pegg; e a metà del libro me lo ritrovo

ninja-taumaturgo-profeta così, senza colpo ferire (per non parlare del finale del romanzo, che è una

cosa da andare a cercare l’autore sotto casa e schiaffeggiarlo con un merluzzo); e lo stesso vale per i

poliziotti del mistero, che però dopo tre capitoli, scusate il francesismo, hanno già scassato la

minchia; e così via. Ok, Wati il fantasma sindacalista, e Jason, il camaleonte proletario, sono

notevoli, ma più come idea che come realizzazione; e Goss & Subby, i cattivi, cattivi, cattivissimi

killer, sono quel genere di personaggi che sai già che faranno la fine di Boba Fett. E infatti. Io mi

son fatto quest’idea che Mieville, da buon marxista, pensi che l’individuo conti meno della massa, e in

effetti i suoi romanzi brulicano di “comparse”, ma raramente di “personaggi”, e men che meno di

“protagonisti” (chi si ricorda il nome del protagonista della Città delle Navi?); il che non è

necessariamente un male, ma certe volte lascia spiazzati, perchè ti chiedi “ma perchè mi stai

raccontando di questo tizio? E’ utile ai fini della storia o è solo un pretesto per parlare della tua

geniale trovata dello spiritello dell’Ipod? Non potremmo tornare alla trama principale? Non potremmo

tornare a Billy?”.
Poi c’è la faccenda dell’immaginazione torrenziale di cui sopra: qualcuno dovrebbe ogni tanto dirgli

basta. Se hai millemila idee bellissime, bravo, beato te che ci riesci, ma non è detto che tu debba

metterle per forza TUTTE nel tuo romanzo; anche perchè il troppo stroppia, e buona parte di queste

geniali invenzioni finiscono semplicemente sepolte e dimenticate.
Insomma, una mezza delusione. Temo che Mieville stia imboccando la pericolosa discesa verso

l’autoparodia (ok, lo so, vorrà pure essere ironico, eccetera, però quando appaiono i Nazisti del Caos

non puoi fare a meno di alzare gli occhi dal libro e guardarti intorno con aria imbarazzata). Come M.

Night Shyamalan: spero non faccia la stessa fine.

Pop Apocalypse, di Lee Konstantinou

In un futuro non troppo remoto, tutto – ma proprio tutto – è coperto dal diritto d’autore. Così, se

qualcuno parla di te, deve pagarti i diritti; quindi, se sei famoso e tutti parlano di te, sei ricco.

Al che i genitori di Eliot, visto che il numero dei suoi amici, contatti e follower sui vari social

network ha raggiunto la massa critica, decidono di quotare il figlio in borsa. Il poveretto si ritrova

da un giorno all’altro a vivere in una specie di reality show, e a dover impostare le proprie scelte

personali in modo da soddisfare i suoi azionisti. Ma c’è un problema: Eliot è un minchione di prima

categoria, ed è incapace di rimanere due giorni di fila sobrio e lontano dai guai. E ce n’è un altro:

Eliot ha un sosia. Ovviamente, cattivo.
Il cyberpunk non mi ha mai convinto particolarmente, ma è la prima volta che mi capita una “commedia

cyberpunk”: ci sono tutti gli stereotipi del genere – tecnologie avanzate ma non fantascientifiche,

metodi di controllo pervasivi, una società ingiusta e instabile, un ambiente devastato e sull’orlo del

collasso, megacorporazioni avide e spietate, conflitti religiosi, sociali ed etnici ormai

incontrollabili – ma il tono è completamente diverso. Probabilmente è per questo che mi è piaciuto:

come l’autore, credo che un mondo così (non molto diverso dal nosto, poi) sia disperato, certo – ma non

serio.

Un Anno nella Città Lineare, di Paul di Filippo

Al centro della Città c’è una lunga strada rettilinea. Ai lati, due file di case. Oltre le case, il

Fiume da una parte e la Ferrovia dall’altra. Tutto qui. Al di là del Fiume e dei binari potrebbero

esserci il Paradiso e l’Inferno, per quel che se ne sa. In effetti, a guardare bene, in lontananza si

vedono le sagome indistinte degli psicopompi, che aspettano che qualcuno muoia per venire a prenderlo:

le Ittiodomine dalla coda di pesce o gli Ornitauri dalla testa di toro, creature immateriali e

inquietanti, il cui compito è portar via i cadaveri e le anime con essi. Per questo in Città non ci

sono cimiteri. E anche perchè sotto il livello del marciapiedi, sotto il tunnel rettilineo della

Sotterranea, sbucano le scaglie cornee del Cittanimale, la bestia gigantesca su cui la Città riposa.

Una Città infinitamente lunga, i cui quartieri si susseguono tutti uguali – all’apparenza; in realtà le

differenze ci sono, minime tra quartieri vicini, enormi tra quartieri separati da centinaia di migliaia

di chilometri: lingue diverse, usanze incomprensibili. Diego Patchen è uno scrittore di fantascienza

(o, come la chiamano qui, “narrativa cosmogonica”), alle prese con un lavoro difficile, un padre malato

e un mondo incomprensibile. E sebbene in questo racconto alla fin fine non succeda nulla o quasi,

l’entusiasmo con cui Diego difende i suoi voli di fantasia da chi preferisce l’introspezione

psicologica e le “le vicende qualsiasi della vita qualsiasi di persone terribilmente qualsiasi”, unito

all’assurdità dell’ambientazione, fanno di questo racconto una vera chicca. Lo si può trovare

nell’antologia “Le città del domani”, Fanucci (ahimè), assieme ad altre storie di China Mieville e di

Geoff Ryman, e al mitico Jerry Cornelius.


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Il Libro del Sole e dello Scorbuto: il Dilemma di Papa Bregonzio


Proclamare un santo è un’impresa lunga e complessa. Si devono vagliare testimonianze d’ogni sorta, consultare esperti dei più svariati campi, discutere e sviscerare fino al più insignificante dettaglio le vite di persone spesso morte da secoli. Ovviamente, e non c’è da stupirsene, i requisiti necessari per raggiungere la meta della santità sono molto stringenti; e ancor più ovviamente, una condanna per eresia dovrebbe essere tenuta in debita considerazione.
Papa Bregonzio XV aveva ponderato a lungo la questione. Il cammino verso la santità di un controverso personaggio era giunto all’ultimo passo: mancava soltanto il sigillo pontificio e Casimiro Passapapozzi sarebbe stato innalzato all’onore degli altari.
«La firma va qui, vero?»
«Sì, Santità», disse il Cardinale Sbranzi, Segretario di Stato. «In latino», si affrettò ad aggiungere.
«Senti un po’, Vincenzo», disse il Papa, togliendosi gli occhiali. «A te questa cosa della santificazione di Passapapozzi non va mica giù, vero?»
«Ehm, con rispetto parlando, no, Santità.»
«E perchè?»
«Perchè credo che in questa faccenda la fede non c’entri nulla e i miracoli men che meno. La santificazione di questo individuo è una questione unicamente politica: il Passapapozzi era matto come un cavallo. Era un eretico. Aveva messo nella Santa Trinità Tobiaz, la Raganella Psichica al posto dello Spirito Santo. Si era autonominato Psicopapa Gianduioz Primo. Sarà anche gradito all’Opus Dei, ai Legionari di Cristo e ai Focolarini di Yog-Sothoth, ma è veramente uno scandalo.»
«Beh, nel corso dei secoli i miei predecessori hanno fatto santi ben più impresentabili. Il Bellarmino, Pio IX, Pinochet… Uno in più non farà certo la differenza. E poi, Vincenzo», aggiunse il Papa con un sorriso sarcastico, «sono il Papa. Sono infallibile.»
«Già. Proprio di questo volevo parlarvi, Santità. Vorrei che ascoltaste un’opinione secondo me autorevole – »
«Ancora?»
«L’ultimo, Santità, ve lo giuro. Se non servirà a convincervi, amen.»
«Appunto, amen.»
Pochi istanti dopo un ometto si inchinava davanti al pontefice. «Santità», disse il Cardinale, «vi presento il professor Giangiacomo Faceto, ordinario di Filosofia all’Università l’Insipienza di Roma»
Il Papa si limitò ad annuire, visibilmente infastidito.
«Allora?»
«Ehm, sì, Santità. Sono stato invitato qui dal Cardinale per chiarire alcuni aspetti, ehm, filosofici, o meglio, logici, della questione. Per farla breve, sapete cos’è il Principio di Non Contraddizione?»
«…»
«Secondo le parole di Aristotele: “È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo”.»
«E questo cosa c’entra, di grazia, con la santificazione di Passapapozzi?»
«È proprio qui il punto, Santità. Passapapozzi fu dichiarato eretico nel 1931 da papa Gerbillo III.»
«E…?»
«E quindi voi non potete proclamarlo santo senza cadere in contraddizione!»
«Che c’entra? Magari Gerbillo III si è sbagliato!»
«E no che non si è sbagliato. Il papa è infallibile, in virtù del dogma sancito dal Concilio Vaticano I nel 1870. Se Gerbillo III lo ha dichiarato eretico, di eresia si tratta!»
«E io lo dichiaro santo! Ma insomma! Che discorsi sono?»
«È un’elementare questione di logica, Santità. “Passapapozzi santo” e “Passapapozzi eretico” sono due affermazioni logicamente incompatibili. Se una è vera, l’altra è per forza falsa. E siccome sappiamo che l’affermazione “Passapapozzi eretico” è vera, in virtù del decreto papale del 24 gennaio 1931, ne consegue per forza, per la forza della logica, che il Passapapozzi non può essere nominato santo.»
Il Papa si alzò dalla sedia e appoggiò entrambe le mani sulla scrivania. «Senta un po’, caro il mio coso – e Giovanna d’Arco dove la mettiamo? È stata dichiarata eretica, sì o no? È stata bruciata sul rogo, sì o no? È stata fatta santa, sì o no? E quindi? Va bene per Giovanna d’Arco e non per Passapapozzi?»
«Ehm, Santità», disse il professor Faceto, con l’aria di uno che si rivolge a un bambino non troppo sveglio. «Giovanna d’Arco è stata fatta santa nel 1920. Il Dogma dell’Infallibilità Papale è stato sancito nel 1870. Prima di allora, ad esempio nel 1431, quando la Pulzella è stata dichiarata eretica, i papi erano liberi, proprio come noi comuni mortali, di sparare ogni sorta di cazz-»
«Ehm, Santità», intervenne il Cardinale. «Quello che il professore vuole sottolineare è come una contraddizione così evidente possa nuocere all’immagine della Chiesa, che specie in questo momento -»
«No, guardi, Eminenza, dell’immagine della Chiesa non me ne potrebbe fregar di meno», tagliò corto il professor Faceto. «La faccenda è molto più seria. Immaginiamo che voi firmiate il decreto e proclamiate Passapapozzi santo.»
«Immaginiamo un corno, mi venga un colpo se non lo firmo», borbottò il papa.
«Va bene: voi firmate il decreto. In questo caso, se vi ricordate quello che ho spiegato prima, assistiamo a un fatto senza precedenti: la manifestazione in questo continuum spaziotemporale di due verità opposte e contraddittorie.»
«E…?»
«Questo, beninteso, se il Dogma sancito nella Pastor Aeternus è vero, e voi papi siete realmente infallibili per decreto divino. Se invece sono tutte fandonie, come molti sospettano, amen, non succede nulla. Ma se il Padreterno ha davvero detto che siete infallibili, un gesto come il vostro può mettere a repentaglio la struttura stessa della realtà.»
Ci fu un attimo di silenzio. Il papa guardò prima il professore e poi il Cardinale.
«Vincenzo…»
«Sì, Santità?»
«Sei licenziato.»
«Ma io…»
«Ma io un paio di palle! Ma ti sembra che io posso perdere tempo ad ascoltare questo mentecatto? Ma ti sembra un discorso sensato? Se proprio volevi farmi cambiare idea, non potevi tirare in ballo i gesuiti, il Mossad o la massoneria o che cavolo ne so io? Eh? Ma allora mi prendi proprio per un deficiente, eh?»
Il papa si lasciò cadere sulla poltrona, afferrò la stilografica, scarabocchiò una firma illeggibile sul decreto. «Ecco! Andate a quel paese tutti e due!»
Afferrò il timbro con il sigillo –
«E con questo, Casimiro Passapapozzi…»
lo intinse nell’inchiostro –
«… è SANTO!»
e lo pestò sulla pergamena.
L’esplosione che ne seguì cancellò dalle carte geografiche il Vaticano e gran parte dell’Italia.
Il resto del mondo tirò un sospiro di sollievo.

***
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Il Calendario di Frate Cazzaro – Maggio 2011

invito La Squadra Cazzate è lieta di invitarvi alla mostra pittorica:

I viaggi allucinanti di Pellegrino Artusi

Ben più di una mostra di semplici quadri, si tratta di un viaggio nel mondo meraviglioso in cui da sempre vagano le nostre menti! Venite ad osservare la tragedia metropolitana di Guernicchia, salpate per l’infinito con Capitan Mangrovia, perdetevi nelle arzigogolate volute delle Aerocazzate! Tutto questo ed altro ancora potete ammirarlo qui:

OUTBACK
via Tenca 10 – Milano

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Frate Cazzaro e il basilico in basilica
Cari fratelli misericordiosi, ricordate che la coltivazione delle spezie in sagrestia è vietata dalla legge di Ddionnipotente che nel Putiferonomio, libro XII, 4:17 dice esplicitamente ‘Tu non avrai a crescer salvia, prezzemolo o maggiorana sui possedimenti del Signore tuo Ddio ovverosia Io, che se ti becco ti illumino di roncolate.’

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Tra il dire e il fare ci son di mezzo le fanfare
Far fare le fanfare ai fantomatici fancazzisti di Fanfalonia è impresa improba ancorché imprescindibile. Un giorno qualcuno avrà successo ed allora riascolteremo ancor i cori di Fanfalonia cantar i lirici versi del Poeta: ‘Fanfaluuuu! Fanfaluuu! Affanculo vacci tuuuu!’
La contumacia delle barbazzecole
Come è noto la barbazzecola maculata delle Ande vive nascosta tra i rovi di manguste delle Ande, appunto. Quello che pochi sanno è tra le manguste delle Ande cresce la gramigna contumacia andina, tipica delle Ande della quale le barbazzecole son ghiotte. Sulle Ande.
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Ed ora una serie di parole a caso
Fanfaluca, parterre, compostezza, protervia, rampante, cavillo, luddista.

Ed ora una serie di parole a caso che non significano nulla
Raspanozzo, carpillatore, rototrasbulico, funoso, irrire, parossimoro, flottulleria, brapo.

Ed ora una sola parola ma scelta con attenzione
Popone!

Ed ora nessuna parola

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Estratto dal capitolo 28 di ‘Le nebbie di Jurgen’ di Tommaso D’Aquino
“Nulla si vedeva all’orizzonte com’anche a poppa o in Versilia. La nebbia, folta e ridanciana avvolgeva ogni cosa. Case, popolazioni, poponi ed angurie. Un bel guaio.
Specie per chi si trovava in tangenziale.”

***

La filippica di Gregorio XIV sulle ‘Esecrabili vicende occorse ad Aruba e altre faziosità’
“[…] E che non si dica che non vi erano stati segnali premonitori di tale immane distruzione.
E non si dica che la giustizia divina abbia colpito a casaccio come una mannaia in mano ad un babbuino.
E non si dica che quel che è accaduto ad Aruba non potrebbe accadere di nuovo, magari proprio a casa vostra.
E non si dica che sono menagramo.
[…] E non si dica che se poi ci metto un filo di burro mi diventa indigesto.
[…] E non si dicano un sacco di cose, insomma.
[…] E non si dica un’altra cosa, che ora mi sfugge. Aspettate, ce l’ho sulla punta della lingua. Ehi, dove andate?”

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Il Santo del Mese

Ss. Paperotti Cefalopodi
L’Antico e Nobile Ordine dei Beati Paperotti Cefalopodi del Santo Sepolcro di Gerusalemme sul Naviglio fu fondato nel 1041 da Papa Benedetto XXVII(*) a perenne ricordo di quella volta che gli venne la malaugurata idea di prendere il 29 per andare in viale Monte Nero dove c’è quel locale famoso per i cocktail di formiche e dovette aspettare 45 minuti perchè un eretico nestoriano aveva parcheggiato il suv sulle rotaie.
Essi (i Beati Paperotti) conducono vita semplice e pia, dedicandosi alle opere di carità, alla preghiera, alla contemplazione, e al consumo di grandi quantità di grana padano.

(*) E’ interessante notare come il sistema di numerazione dei Papi di nome Benedetto differisca da quello degli altri papi, in quanto, anzichè procedere in ordine ascendente, procede al contrario. Il primo papa di nome Benedetto fu Benedetto 107° (304 – 306). Molti teologi e vaticanisti si chiedono cosa succederà all’eventuale successore di Benedetto Zero, ma non si è ancora raggiunta una posizione unanime.

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Ordini dall’alto

E ora vien fatta questa intimazione a voi, o sacerdoti: “Se voi non mi vorrete ascoltare e non prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, – dice il Signore degli eserciti – io manderò l’indigenza in mezzo a voi, e maledirò le vostre benedizioni e le maledirò, perché non m avete preso a cuore. Ecco che io vi ritirerò la spalla [delle vostre vittime], e vi spanderò lo sterco delle vostre solennità sulla faccia, e che vi porti seco!”

Malachia 2, 1

Ordini dal basso

Ecco un rimedio per guarire dalla ubriachezza:
Gettare in un recipiente, che contenga una considerevole quantità di vino, alcune anguille vive lasciandovele affogare. Chi berrà questo vino proverà in seguito ripugnanza e sarà difficile che riprenda la deplorevole abitudine.

Il vero Libro Infernale

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Birra Gulag!

Gulag! E sai cosa bevi.

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*

Fare la birra in casa è un’impresa ardua e non priva di pericoli, come l’avvelenamento, il coma etilico da assaggi ripetuti e l’espolosione simultanea delle bottiglie in caso di fermentazione troppo entusiasta. Ma ne vale la pena. La nostra ultima creazione è la birra Gulag!, ispirata alle epiche imprese dei compagni Makoto & Domingo: rossa come la gloriosa bandiera eccetera, forte come un trattore, dal retrogusto amaro come il crollo del Muro di Berlino.

*


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Anosognosia Cazzatorum

Gennaro Fuffolo, Elogio delle Cazzate, 1929

Introduzione

La definizione dell’Anosognosia Cazzatorum (A.C.) come “cecità alle cazzate”, sebbene forse semplicistica, è di fatto la più immediata e diffusa. L’ A.C. Si definisce, secondo il DSM, come un disturbo neuropsicologico della consapevolezza caratterizzato dall’incapacità di riconoscere una cazzata quando la si incontra, in assenza di altri disturbi neurologici, psicologici o sensoriali.

Sebbene nota sin dalla seconda metà del XIX secolo (1), l’A.C. è stata solo di recente sistematizzata e inquadrata come disturbo della consapevolezza. L’impulso fondamentale alla rivalutazione di questa patologia si deve a Z. Muco, ph.D., che, nella sua ponderosa “Fenomenologia delle Cazzate”, identificò la capacità di riconoscere le cazzate come uno dei tratti fondamentali dell’intelligenza umana.

La definizione di “cazzata”, come ben si sa, è questione spinosa e complessa, e lasciamo al lettore interessato il compito di documentarsi (2). Tuttavia, dato che, come afferma un corollario della legge di Sturgeon (3), il 90% di tutto è composto da cazzate, ben si capisce come la capacità di identificarle rivesta così grande importanza; non solo: le implicazioni sociali, politiche e financo etiche di una parte della popolazione mondiale incapace di riconoscere una cazzata quando le si para davanti, assumono di anno in anno proporzioni sempre più rilevanti.

Eziologia

Il sistema di classificazione utilizzato dal DSM, come è noto, prescinde da qualsiasi ipotesi eziologica limitandosi a catalogare sintomi e segni; per questo motivo, e per il fatto che ci servirebbe più spazio di quello a nostra disposizione (4), soprassediamo.

Quadro clinico

L’A.C. esordisce solitamente in giovane età, sebbene le statistiche indichino un secondo picco di incidenza verso i 60 anni.

Il paziente, come abbiamo detto, si dimostra insensibile alle cazzate, ed è in grado di tollerarne quantità enormi senza mostrare segni di riconoscimento; sono di solito i familiari e i conoscenti a portare il caso all’attenzione dei clinici, oppure la polizia postale o altri enti di pubblica sicurezza chiamati a sedare risse online sulle scie chimiche, il signoraggio o la minaccia del Calamaro Vampiro.

Diagnosi

Solo in tempi recenti si sono approntati criteri di diagnosi affidabili e sicuri, consistenti in primo luogo in test a domanda e risposta e reattivi proiettivi. Il più famoso è di certo il Test del Calamaro Vampiro, che, sebbene di estrema semplicità, non è privo di rischi per il medico in seguito alle reazioni spesso violente del paziente di fronte all’affermazione che il Calamaro Vampiro è un pericolo per l’umanità.

Decorso e prognosi

La principale causa di morte per i pazienti affetti da A.C. è l’omicidio, di solito perpetrato da amici e conoscenti che non ne possono più di sentirsi raccontare di come l’attentato alle Torri Gemelle sia stato compiuto da una lobby giudeo-islamico-massonico-rettiliana aiutata dai Beholder e dai Ferengi.

Sottotipi

Le due principali sottocategorie di A.C. sono quella abulica (detta anche Sindrome del Monaco Elettrico), in cui il paziente assume un atteggiamento passivo, da semplice consumatore di cazzate, e quella aggressiva, in cui il paziente rompe i co**ioni a tutta l’umanità cercando di convincere il prossimo della bontà delle sue convinzioni.

Diagnosi differenziale

Diagnosi differenziali si pongono con il ritardo mentale, i disturbi ossessivo-compulsivi e le diverse forme di deliri e allucinazioni. Importante per la diagnosi è la constatazione che il paziente, solitamente di livello intellettivo normale oppure alto, non si limita a considerare realtà una singola cazzata, ma tutte, in blocco, indifferentemente. Così, mentre un paziente affetto da sindrome di Cotard crede di essere morto, e basta, un paziente affetto da A.C. crede al complotto delle scie chimiche, al falso sbarco sulla Luna organizzato da Nixon e Stanley Kubrick, al pianeta Nibiru che nel 2012 distruggerà la Terra, al signoraggio, ai rettiliani, ai finti diari di Mussolini, al tempo cubico e al pericolo comunista (5).

Cenni di terapia

Al momento non esistono terapie unanimemente considerate efficaci. L’utilizzo di psicofarmaci è sconsigliato, mentre la terapia elettroconvulsivante sembra dare qualche risultato. Comune è la necessità di ricorrere al Trattamento Sanitario Obbligatorio, specialmente dopo aver menzionato il Calamaro Vampiro. In casi estremi si consiglia l’apertura della scatola cranica e la sostituzione dell’encefalo con materiale inerte, come ad esempio budino di tapioca.

Note

(1) Già Sigmund Freud, in una lettera alla zia Ulla, constatava “la quantità francamente incredibile di minchiate che escono dalla penna del Lombroso senza che lui batta ciglio”.
(2) “Ecco un semplice esempio che aiuta a comprendere la differenza tra verità, menzogna e cazzata.
VERITA’: La Terra ruota intorno al Sole.
MENZOGNA: Il Sole ruota intorno alla Terra.
CAZZATA: Il Sole ruota intorno alla Terra perchè in un testo aramaico del 3000 a.C. c’è scritto che Giosuè o qualche altro pastore nomade del deserto convinse l’Essere Supremo, con le parole: fermati o Sole su Gabaon!, a fermare il moto del sole per un’intera giornata così che le tribù di Israele poterono assediare una qualche città e sterminarne gli abitanti” – Z. Muco, Fenomenologia delle Cazzate.
(3) Enunciato dal famoso monaco-scienziato Frate Cazzaro; è perciò noto come “Il Corollario di Frate Cazzaro”.
(4) Secondo i pionieristici studi di Anatolij Pepelaz, dell’Accademia delle Scienze Sovietica, la causa scatenante dell’A.C. era la presenza di minuscoli folletti picconatori nel cranio del paziente, capaci di causare gravi danni alle strutture del lobo limbico e del nucleo caudato. Si scoprì più tardi che lo stesso Anatolij Pepelaz soffriva di A.C.
(5) Molto comune nei casi italiani di A.C., assieme alla convinzione che “però Giuliano Ferrara è molto intelligente”.

Bibliografia

Z. Muco, ph.D., Fenomenologia delle Cazzate, Ed. il Minchione, 1945
S. Freud, Lettere alle zie: interpretazione dei sogni e della calligrafia di zia Ulla, Vienna, 1930
H. Frankfurt, On Bullshit, 2005

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Le Magiche Pozioni Natalizie della Squadra Cazzate

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Forse non tutti sanno che i loschi figuri che si nascondono sotto il nom de plume di “Squadra Cazzate” sono artisti a tutto tondo, veri genî rinascimentali capaci di destreggiarsi in ogni campo artistico e scientifico. O magari anche no.
In ogni caso Le Magiche Pozioni di Mazzate.com sono realizzate con gli ingredienti più pregiati e garantite per 150 anni o fino a che qualcuno casta un Dispel Magic. Bere una pozione richiede un round.

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A parte gli scherzi, trattasi di piccole ma graziose bottiglie di liquore fatto in casa, nella fattispecie liquore di tè, liquore di more e spremuta di tartarughine, regalate un paio di natali fa ad amici giocatori di ruolo; chiuse e sigillate con ceralacca e decorate con pregevoli etichettine retrò. Non sembrerà, ma fanno la loro porca figura.

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