Circumluna chiama Texas


Diciamo la verità: ormai non siamo più dei giovincelli. Anzi, diciamola tutta: siamo vecchi. Siamo tristemente consapevoli che gli anni migliori della nostra vita ce li siamo lasciati ormai indietro, e, come i vecchi, oltre a ripetere sempre le stesse cose, ci guardiamo di continuo alle spalle e rimpiangiamo i tempi in cui le cose erano migliori. Anche la fantasy e la fantascienza. Non vogliamo dire che oggigiorno non si possa leggere un buon romanzo fantasy, ma per noi che abbiamo ormai i capelli bianchi e la prostata infiammata, l’età d’oro della letteratura fantastica è finita negli anni ’70, e quindi tendiamo a essere un po’ prevenuti: non ci basta la nuova diciottologia dell’esordiente scrittrice fantasy italiana, o il romanzo cyberpunk-thriller-vampiresco di un qualche impiegato di banca o cose simili. A malapena ci scuote China Mieville (a schiaffoni, ci scuote: se non avete presente la faccia di China Mieville, è il genere di scrittore che non vorreste incontrare in un vicolo buio senza una copia di Perdido Street Station da offrirgli come pegno di benevolenza). No, lasciateci i nostri Vance, gli Howard, le Le Guin. O Fritz Leiber. Prendete per esempio Fritz Leiber: niente diciottologie, niente romanzi di millemila pagine, ma una delle più belle saghe di sword & sorcery di sempre, quella di Fafhrd e il Gray Mouser, articolata in un romanzo neanche poi tanto lungo e un bel po’ di racconti brevi ma semplicemente spettacolari, che, per usare un francesismo, dànno la merda a qualsiasi Ciclo di Anharra o Crepuscolo degli Eroi o vedete un po’ voi. Leiber è uno di quegli scrittori della vecchia guardia le cui opere hanno, per i fan, un valore quasi didattico: a proposito per esempio dell’uso giudizioso degli stereotipi; oppure della vexata quaestio dello “scrivi di ciò che sai”. Ovvero la disputa senza fine tra quelli che sostengono che uno scrittore dia il meglio di sè quando scrive di cose che conosce, e quindi sia necessaria, per chi ha un minimo di coscienza professionale, un’adeguata documentazione e, al capo opposto, quelli che sostengono che, finchè suona credibile, uno scrittore può sparare qualunque minchiata – tanto i lettori di letteratura di genere sono notoriamente di bocca buona. (Per dire: Harlan Ellison, per scrivere un romanzo sulle gang di Brooklyn entrò a far parte di una di esse, ma Harlan Ellison è un caso a parte. Salgari scrisse decine di romanzi ambientati in luoghi esotici di cui aveva a malapena sentito parlare). Comunque sia, su questa diatriba sono state scritte pagine memorabili, come quelle di Gamberetta cui vi rimandiamo sicuri che le apprezzerete quanto noi, e ci limitiamo a far notare che Fritz Leiber, oltre che scrittore, era anche appassionato di scherma e scacchi, attore dilettante ed attivista politico socialista. E in questo Circumluna Chiama Texas si vede, eccome.
Ecco dunque salire sul nostro palcoscenico Cristoforo Crockett La Cruz: nato su una stazione orbitale, e cresciuto a gravità zero, è alto due metri e settanta e pesa quarantasette chili. Di professione è attore teatrale, shakespeariano, per la precisione: e, con la sua bella calzamaglia nera d’ordinanza e un esoscheletro per sopportare la gravità terrestre, non c’è da stupirsi che i peones del Texas lo chiamino “La Muerte Alta”. In Texas, Cristoforo è sceso per far valere i diritti di successione di una vecchia miniera di proprietà della sua famiglia: ma il Texas è molto cambiato. Anzi, tutto il mondo: metà delle terre emerse sono dominate dagli USA, i quali a loro volta sono dominati dal Texas. Quindi Parigi è in Texas, Londra è in Texas, e Austin (Texas) è in Texas. I texani, dopo secoli di trattamenti ormonali e cibi iperproteici, sono ormai Chuck Norris al quadrato: enormi, muscolosissimi, giganteschi, armati fino ai denti anche sotto la doccia, si considerano con buone ragioni i padroni del pianeta. E i peones, i Mex, a loro volta geneticamente modificati per raggiungere un’altezza massima di un metro e quaranta, subiscono come nei migliori film western, e preparano la revoluciòn. Della quale il nostro eroe diventa, suo malgrado, portabandiera. Un po’ per la sua inesperienza degli usi e costumi terrestri (anzi, texani), un po’ perchè subito si innamora di una deliziosa e battagliera señorita alta un metro e venti nonchè (una delle più assurde love-story che la fantascienza ricordi) della figlia del Governatore del Texas, un fior di figliola alta due metri, un po’ perchè il suo aspetto sinistro e la sua voce baritonale lo rendono un simbolo per centinaia di peones (Ayayayyy! Que viva la Muerte Alta!), accetta di partecipare a una forsennata tournèe – si scrive così? – che lo porterà a girare il Texas in lungo e in largo arringando, in assurdi spettacoli comico-politici, folle di messicani e sfuggendo a ranger e polizia, accompagnato da monaci zen giamaicani, scienziati pazzi ovviamente tedeschi e altri improbabili guerriglieri. Un piccolo, folle, macabro, delizioso romanzo che mescola teatro, western, fantascienza, cappa-e-spada e satira politica neanche poi tanto velata: perchè la grande fantascienza, parlando del futuro, ci illustra il presente, e certe parti, anche se vecchie di quarant’anni, sembrano proprio scritte per noi: “Una nazione che cercava di creare, simultaneamente e nella stessa gente, l’avidità per il cibo, per le comodità, per la proprietà, e un puritano moralismo. La concorrenza spietata da una parte, e la docile collaborazione dall’altra. La pavida cautela e il temerario spirito di sacrificio. Una gioventù tracotante ma docile. Il culto del successo, purchè sembrasse dovuto alla fortuna, e l’odio per la superiorità quando era frutto di dono naturale o di duro lavoro. Grandi scienziati e studiosi, e insieme il disprezzo per essi. Lo stato assistenziale e l’accumulazione di ricchezze nascosta. La fratellanza tra gli uomini, e la discriminazione razziale. In breve, programma zero. Ordine, contrordine, disordine.
Non suona familiare?


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