Anthropometamorphosis, ovvero il Trovatello Artificiale

CoxEhm. In realtà il titolo originale dovrebbe essere “The Artificial Changeling” e riferirsi agli svariati modi in cui le persone d’ogni popolo e tempo modificano il proprio aspetto. Già. Ma non ci interessa per il momento, se non perchè così è citato, assieme a una legione di altri titoli antichi e improbabili, ne «Il Significato della Notte», di Michael Cox, interessante romanzo in costume (anzi, come dice la prefazione, esempio di Narrativa Vittoriana Post-Autentica) giunto sui nostri scaffali grazie alla sollecitudine ancora una volta dell’amico Max. E dunque.
Il signor Glyver è un distinto gentiluomo nella Londra vittoriana. Diviso tra l’amore per i libri antichi e quello per la signorina Carteret, mr. Glyver lavora come consulente per un prestigioso studio legale. Come il signor Wolf, risolve problemi: svolge indagini, cerca prove, e quando le prove non ci sono, le fabbrica. Non è proprio uno stinco di santo, mr. Glyver: ci confessa con invidiabile flemma di aver mandato sulla forca un innocente per difendere un cliente accusato di uxoricidio. In effetti, qualche dubbio sull’integrità morale di mr. Glyver potevamo averlo già all’inizio del romanzo, visto che si apre con mr. Glyver che commette un omicidio. Ma bisogna capirlo: mr. Glyver ha avuto un’infanzia difficile. E soprattutto, come ogni eroe vittoriano che si rispetti, ha un Nemico: mr. Phoebus Daunt, impeccabile, colto, ovviamente coi baffetti e la faccia di Jude Law. I due si conoscono da sempre, si potrebbe dire: e ogni volta che la vita di mr. Glyver ha subito uno scossone c’era di mezzo Phoebus Daunt. Come quando è stato espulso dal college: per colpa di chi? Di mr. Daunt. E chi insidia la bella miss Carteret, minacciando di mandare a monte il suo matrimonio? Phoebus Daunt, ovviamente.
A un certo punto mr. Glyver scopre di essere figlio illegittimo di un nobile di campagna. Raduna tutti i documenti e tutte le prove possibili – è una persona meticolosa, dopotutto – per farsi riconoscere dal padre e diventare così ricco e blasonato. E scopre che il vecchio, senza figli, ha deciso di adottare un giovine di famiglia povera ma di belle speranze e nominarlo suo erede universale. Indovinate chi? Phoebus Daunt. Così mr. Glyver commette un omicidio. E come dargli torto? In effetti si può, visto che non uccide mr. Daunt, ma un tizio che non c’entrava nulla.
«Il Significato della Notte» è una specie di thriller erudito e retrò, in cui mr. Glyver narra la storia della sua vita e delle sue letture con tipico understatement britannico, prendendosi lunghe pause per divagazioni e considerazioni filosofiche. Per cui sappiatevi regolare, se cercate ritmi forsennati, sparatorie e sesso a carrettate rivolgetevi altrove. E’ anche uno di quei romanzi che, giunti alla fine, rivelano un’inaspettata chiave di lettura, di quelle che ti domandi «E se fosse…?”»
Ci era già capitato con «L’Uomo che fu Giovedì», sebbene lì la situazione fosse diversa. Qui viene da chiedersi, alla fine della lettura: ma siamo proprio sicuri che sia mr. Glyver, l’eroe? Certo, è lui che racconta la storia, e tendiamo a immedesimarci nel suo punto di vista: ma stiamo parlando di una persona dalla dubbia moralità, l’avrete capito, e soprattutto, nonostante le sue ragguardevoli letture, tutt’altro che brillante. Per esempio, i documenti da cui dipende il suo riconoscimento come legittimo erede di Lord Tansor sono sulla scrivania per tre quarti del romanzo, e il lettore – che non ha bisogno di essere iscritto al MENSA per arrivarci – deve impedirsi di scuotere il libro di tanto in tanto e mettersi a gridare «Eddieeee! Mapporcaputt*na! Apri quella ca**o di bustaaaaa!» E quando finalmente, dopo l’ennesimo sconfitta ad opera di Daunt, mr. Glyver opta per una soluzione radicale – decide prima di compiere un omicidio di prova. Già. Esce di casa e uccide un tizio che non c’entrava nulla per dimostrare a sè stesso che quando sarà il momento, mr. Daunt non avrà scampo. E invece: qualcuno lo segue, lo sgama, per usare un francesismo, lo ricatta (ovviamente Phoebus Daunt, che non è mica un fringuello e che a questo punto del romanzo ha ormai tutte le simpatie del lettore).
E’ quello che si dice il problema del “Narratore Inaffidabile“: l’unico modo per noi di venire a conoscenza dei fatti di cui tratta la storia, in casi come questi, è affidarci a chi ce la racconta (per dire, mr. Glyver viene espulso dal college per colpa di Daunt. Ah sì? Ma chi ce lo dice? Ce lo dice mr. Glyver, e Matlock se lo mangerebbe in un boccone). Ma se ci racconta ca**ate, cosa facciamo? Magari possiamo costruire spiegazioni alternative: dopotutto mr. Daunt è intelligente, abile, e nonostante le sue umilissime origini, capace di farsi largo nella vita. Magari è lui l’eroe del romanzo, e Glyver il cattivo. Come nel film Dodgeball. O almeno sono moralmente alla pari, il che fornisce al lettore l’inaspettata possibilità di scegliere da che angolazione osservare la storia e scegliere da che parte stare. Noi, ovviamente, con mr. Daunt.


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Una profonda riflessione su “Anthropometamorphosis, ovvero il Trovatello Artificiale

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