La Città del Re Leucrotta – Cap. I

La Morte del Baldench

Un urlo repentino, che si ripercosse lungamente, spegnendosi in una coda di imprecazioni e bestemmie, nel salone fumoso sorretto da colonne di legno dipinte a vivaci colori ormai scrostati, ricoperti di fango e sterco, fece bruscamente sussultare Vronch.
L’invidioso ministro, preposto alla sorveglianza dei Baldench, i sacri animali bianchi del re, dinanzi a cui piccoli e grandi s’inchinavano, udendo quel grido sentì un fremito corrergli per tutto il corpo, mentre la sua fronte sfuggente si imperlava di grosse stille di sudore. Con una mossa lenta, si alzò dal largo cuscino stinto e divorato dalle tarme che gli serviva da sedile, mormorando con voce semispenta:
«Ma porca di quella puttana, lo sapevo io, ci siamo. Questo grido – cosa significa? La vita o la morte? La maledizione eterna di Krustulas o la felicità? L’odio del re e del popolo, o nuovi onori e nuove grandezze? Lo so io cosa significa, cazzo e ricazzo. E Ukhurra? Cosa dirà, la mia povera nonna?»
A quel nome, un’angoscia inesprimibile alterò il viso del ministro.
«Ukhurra mi ammazza» concluse con voce schifata. E sputò.
Poi con una mossa risoluta, che denotava l’audace coboldo, il coboldo d’azione, fece alcuni passi innanzi, dirigendosi verso una porta di legno, adorna di graffiti osceni e segni d’ascia, dicendo a se stesso con voce energica:
«Vronch non deve aver paura e saprà sfidare il castigo, pur sapendosi vittima dell’odio feroce d’un nemico sconosciuto. Ma se lo becco gli rompo il culo.»
Posò la destra sulla maniglia e aperse la porta di scatto. Un altro coboldo incespicò nella stanza, curvandosi fino al suolo con profondo rispetto. Era un giovane, dal portamento infido e fiacco come quello dei suoi simili, col muso affilato, gli zigomi sporgenti, gli occhi neri e lampeggianti, le labbra sanguigne ed i denti aguzzi nerissimi per la comune usanza di masticare fango. Dal costume che indossava, una lunga e informe camicia bianca, (cioè, bianca in un lontano passato, così lontano da essere menzionato solo nelle leggende) con maniche larghissime, si riconosceva in lui un krold, ossia un paggio di corte.
«Che cazzo vuoi, Fang?» chiese il ministro, con voce acida.
«Disgrazia, mio signore,» gemette il paggio, tornando a curvarsi fino a terra. «Disgrazia, disgrazia! Anche l’ultimo Baldench muore.»
Vronch fece un gesto disperato e si strinse il muso con ambo le mani.
«Krustulas mi ha maledetto!» esclamò, aggiungendo a mezza voce, «Bastardo!»
Stette alcuni istanti immobile, ritto in mezzo all’ampia sala sudicia, osservando la polvere che danzava agli ultimi raggi di sole penetranti fra i vetri incrinati delle vaste finestre dentellate, poi si scosse dicendo con voce quasi calma:
«Parla.»
«Il Baldench ha rifiutato il suo cibo ordinario, le rape bollite e i cavoli andati a male. Perfino i topi morti ed i pasticcini di coleotteri preparati dalle principesse reali e di cui era sempre stato ghiottissimo; poi con una zoccolata ha ucciso il capo dei guardiani.»
«Ed ora?» chiese Vronch, con un sordo gemito.
«Si è coricato sulle ginocchia e bestemmia come se avesse una legione di diavoli in corpo.»
«E i suoi occhi?»
«Sono smorti e piangono. È molto incazzato.»
«È stato avvertito il re?»
«Nessuno osa.»
«Quei vili hanno paura!»
«Dicono che spetta a voi, che siete il ministro dei Baldench.»
«E quello che se la piglierà in quel posto per tutti,» disse Vronch con voce cupa, facendo un gesto eloquente.
Prese ruvidamente il paggio per un orecchio, andò a chiudere la porta, poi lo trasse verso l’opposta estremità della sala, chiedendogli a bruciapelo:
«Credi tu naturale la morte di sette sacri animali bianchi nello spazio d’un solo mese? Prima il Catoblepa. Poi l’Occhio Fluttuante; il Rugginovoro; l’Orso Gufo; il Coniglietto Fluffoso; e poi quello lì, come si chiama – » schioccò le dita, cercando di ricordare il nome del Mostro Senza Nome.
«Si, ho presente», annuì Fang. «E ora il Sacro Leucrotta. Ma perché mi fai questa domanda, mio signore?» chiese il paggio guardandolo con stupore.
«Rispondi!» gridò il ministro, torcendogli l’orecchio.
«Ahiahiahiahi, mio signore, chi avrebbe osato alzare la mano su quei sacri animali, che racchiudono nel loro corpo l’anima di Krustulas, il dio venerato da tutti i coboldi degni di questo nome? Ahia.»
«Chi?… Chi?… Ma che cazzo ne so, io. Qualcuno che ha giurato la mia perdita,» disse il ministro con voce furente. «Qualcuno che non teme la vendetta del nostro dio, pur di raggiungere il suo scopo. Tu che hai sempre dormito nel recinto degli animali sacri, hai mai notato alcunché di straordinario?»
«Mai, signore, te lo giuro.»
«Nessuno si è avvicinato a loro durante la notte?»
«Non mi parve.»
«Hai sempre assaggiato i cibi che si davano ai Baldench?»
«Sempre. Beh, quasi. Insomma… i topi morti…il guano di pipistrello…»
«Eppure qualcuno deve averli uccisi.»
«E chi?» chiese il paggio, abituato sin dall’infanzia all’adulazione più bieca e palese. «Tu non hai nemici, sei amato da tutti per la tua generosità e la tua onestà. Chi potrebbe desiderare la perdita del più valoroso generale del Fethrund, vincitore dei Goblin, degli Snotling e degli Uomini-Aragosta?»
«Che ne so io?» disse il ministro. «Oggi forse lo ignoro, ma può darsi che un giorno, se sarò ancora vivo, riesca a scoprirlo. Vivo!… La morte dell’ultimo Baldench segnerà anche la mia, se lo scopre Ukhurra.»
«Tua nonna!» esclamò il paggio con una smorfia d’orrore.
In quel momento si fece udire un lontano «Porcoddiiiiiiiiì….», che si ripercosse perfino dentro la sala.
«Sono barriti d’agonizzante,» disse Vronch piegando la fronte. «Krustulas lo chiama a sé.»
Si diresse verso la porta, che aperse impetuosamente. Uno scalone sudicio, coperto di tappeti rosicchiati dai topi, con balaustrate pericolanti, conduceva nei giardini reali, in mezzo ai quali s’alzava il padiglione destinato ai Baldench.
Il ministro, che camminava velocemente, percorse parecchi viali fiancheggiati da cactus colossali che spandevano un’ombra infida, senza badare se la sua camicia variopinta si lacerava contro le spine degli arbusti, e giunse in un vasto cortile, dove s’alzava un capannone costruito tutto in legno, sormontato da una infinità di campanili dai tetti arcuati ed irti di punte minacciose.
Una viva agitazione regnava nei dintorni del palazzo: numerosi talponi, usciti dalle loro gallerie sotterranee, col muso rasato, la testa e le ciglia pure rasate, le braccia e le gambe rasate, la schiena rasata, i piedi nudi e rasati e il corpo infagottato in tre pezze di stoffa a quadrettoni bianchi e rossi, il colore reale, si aggiravano presso le numerose ed ampie porte, discutendo a bassa voce, torcendosi gli enormi baffi impomatati.
Più lontano, degli orag e degli olag, ossia dei nobili coboldi, riconoscibili per le loro scatole di latta contenenti la loro provvista di fango speziato e pel cerchio dorato che ornava i loro berretti conici alti un metro; dei tong, ossia dei consiglieri reali; dei mandarini, degli aranci e dei poponi che avevano i fianchi cinti fino alle ginocchia di larghe fasce di seta, orlate di ricami d’oro e d’argento, chiacchieravano sommessamente, mostrando tutti dei visi scuri e preoccupati. Anche i poponi. Vedendo comparire il ministro, tutti cessarono di parlare e i loro sguardi inquieti si fissarono su di lui, come per chiedergli se avesse finalmente potuto trovare un rimedio così potente da trattenere ancora nel corpo dell’ultimo Baldench l’anima di Krustulas, che pareva ormai decisa a tornare nel Ruaugh-Uhgtrogh, il fetido, acquitrinoso paradiso o luogo di riposo eterno dei Fethrundesi.
Vronch, tutto assorto nei suoi pensieri e nelle sue angosce, pareva non essersi nemmeno accorto della presenza di tutti quei grandi dignitari, accorsi ad assistere all’agonia del Sacro Leucrotta Bianco. Egli non ascoltava d’altronde altro che le rauche bestemmie del Baldench, che gli annunciavano una imminente catastrofe. Passò in mezzo ai talponi e ai paggi della corte del Signor Leucrotta, senza rispondere ai loro profondi inchini, ed entrò nel palazzo.
In un angolo d’una sala immensa, che aveva le pareti di marmo variegato e la volta sostenuta da parecchie file di colonne di marmo, basalto, schisto e marzapane con incrostazioni d’oro, sopra un folto tappeto scintillante d’argento, stava sdraiato il Baldench. Era un colossale leucrotta (colossale dal punto di vista di un coboldo), alto quasi un metro e ottanta, con zanne acuminate, la pelle quasi biancastra, chiazzata di macchie grigie, e assai più rugosa di quella degli altri suoi simili, anzi quasi squamosa.
Era adorno come nei giorni solenni dei ricevimenti, giacché quei fortunati animali hanno i loro giorni di visita come i re e le principesse. Ricchissimi anelli d’oro massiccio, con rubini e smeraldi di valore inestimabile, gli ornavano le lunghissime orecchie; fra i due occhi aveva la mezzaluna pure d’oro massiccio con diamanti e perle, sostenente nove cerchi d’oro destinati ad allontanare i malefìci e i venditori porta a porta; appesi ai baffi, degli enormi pendenti sfolgoranti di pietre preziose, e sul dorso una magnifica mantella di seta, intessuta con oro e tempestata di zaffiri, di rubini, di quarzi e di pirofosfati.
Accanto aveva il Pungolo Regale, l’uncino di cui si serviva il suo brauusk, ossia conduttore favorito, per guidarlo, un capolavoro di ricchezza e di cattivo gusto, con cesellature meravigliose, il manico di cristallo di rocca e la punta d’oro ornata di pietre di gran valore e lucine intermittenti.
Con tutte quelle ricchezze che portava indosso e che sarebbero state più che sufficienti a rendere felice ed orgoglioso il più esigente monarca del Bal-Gurag, il Baldench non sembrava affatto contento. Doveva essere ben ammalato il Signor Leucrotta Bianco, per non apprezzare più quelle ricchezze!… E lo era davvero.
Colla gigantesca testa appoggiata su una zampa, la coda stesa al suolo come gli fosse diventata ormai troppo pesante, gemeva dolorosamente, mentre grosse lagrime gli cadevano dagli occhi. Il suo immenso corpaccio tremava tutto, il suo respiro era rauco ed affannoso e dalla sua epidermide si staccavano in gran numero delle squame, che i paggi della sua corte ed i brauusk s’affrettavano a raccogliere religiosamente ed a collocare in un’urna d’oro. «Bastardi», rantolava, «Ve la farò pagare.»
Di quando in quando, il colosso con uno sforzo sollevava la testa, spazzava il tappeto colla coda e mandava un lungo peto, che si ripercuoteva lungamente sotto le volte dell’immensa sala di marmo.
Poi un impeto di furore improvvisamente lo assaliva, e scagliava lontano a zoccolate le canne, le pastiglie e i dolci pasticcini di coleotteri che le principesse di sangue reale avevano manipolato espressamente per lui.
Vronch si avvicinò al colosso, accompagnato dal brauusk favorito, il solo che il Signor leucrotta bianco ancora rispettasse, poiché tutti gli altri dovevano tenersi lontani se non volevano finire come il capo dei guardiani, che era stato appena allora portato via, ridotto a una fisarmonica.
Il leucrotta, vedendolo, fissò su di lui uno sguardo che non era punto benevolo e alzò minacciosamente la testa, come se si preparasse a morderlo o a sputargli in un occhio. Vronch, vedendo quella mossa, diventò pallidissimo e un doloroso sospiro gli uscì dalle labbra. Gli pareva che il Signor Leucrotta Bianco lo accusasse, con quell’atto, della propria morte che ormai pareva imminente. Il brauusk favorito fu pronto a trarre indietro il ministro, temendo giustamente una nuova disgrazia.
«Sta per morire, vero?» chiese Vronch con voce semispenta.
«Non ho più speranze, mio signore,» rispose il brauusk.
«Non sono riusciti a indovinare la causa della sua malattia?»
«Nessuno capisce niente, signore. Anche mezz’ora fa è stato visitato da un medico che gode grande fama in tutta la città.»
«Che cosa ha detto?»
«Che pel Signor leucrotta bianco, ormai non vi è più rimedio.»
«Beve sempre?»
«E avidamente, come se avesse nel suo sacro corpo un fuoco che gli brucia le viscere. È sempre ubriaco.»
«Ed è il settimo che muore così,» disse Vronch, facendo un gesto di disperazione. «Quali disastri piomberanno sul nostro paese, quando anche l’ultimo Baldench sarà spirato? E non se ne trovano più!…»
«Anche gli ultimi cacciatori spediti nei dintorni del lago di Olish sono tornati a mani vuote, dichiarando che non ne esiste alcuno in quelle foreste,» disse il brauusk.
«Sventura su noi,» balbettò Vronch. «Krustulas ci abbandona, eppure i nostri talponi hanno innalzato nuovi cumuli di terriccio e raddoppiato le offerte. Perché il nostro dio è in collera con noi?»
«A me lo chiede, signore?»
«E se invece che a Krustulas queste disgrazie fossero da attribuire a una mano sacrilega?» chiese ad un tratto il ministro, che pareva fosse perseguitato da un sospetto. Il brauusk lo guardò con terrore, mentre il suo viso diventava improvvisamente smorto e un tremito scuoteva le sue membra.
«Signore, che cosa dite?» chiese con voce alterata.
«Che la morte dei sette Baldench non mi sembra naturale,» rispose Vronch. «Questo fuoco misterioso che divora le loro viscere può essere stato prodotto da un maleficio.»
«Che il re della Uruth, geloso dei nostri Baldench, li abbia fatti maledire dai suoi talponi?»
Vronch stava per rispondere «Che cazzo c’entrano i talponi», quando un barrito spaventevole, che fece accorrere precipitosamente tutti i sacerdoti, i nobili, i paggi ed i guardiani, fece tremare la sala. Il Baldench si era rizzato sulle ginocchia, agitando furiosamente la coda e le larghe orecchie. I suoi occhi mandavano fiamme e un tremito fortissimo scuoteva l’enorme corpo. Un grido sfuggì da cento bocche:
«Il Baldench muore!»
Con uno sforzo disperato il leucrotta riuscì ad alzarsi in piedi. Era spaventevole: sbavava orribilmente e pareva che fosse lì lì per scagliarsi su tutta quella gente e polverizzarla. Stette un momento così ritto, colla coda tesa, poi rovinò al suolo con fracasso orribile. Dalle fauci gli uscì un getto di sangue nero, assieme alle parole «Andate tutti a fare in culo».
«Morto!» gridarono i talponi, i paggi ed i guardiani, cadendo in ginocchio. Anche i poponi.
Il favorito del Baldench si avvicinò a Vronch, che pareva pietrificato dal terrore.
«Signore,» gli disse, mentre i suoi occhi si empivano di lagrime.
«Avvertite il re della sventura che è piombata sulla sua casa.»


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5 pensieri profondi su “La Città del Re Leucrotta – Cap. I

  1. Superbo! – La desacralizzazione dell’umanocentrismo della superstizione e della ideologica burocrazia dello Stato tradizionale insita nella narrazione della fine del decadente, perduto ma antichissimo reame coboldo del Farhagund o come cazzo si chiama è un nuovo passo avanti nell’evoluzione sociale dell’umanità. O dei goblinoidi. – Ma a me che me ne frega? Tanto mi pagate un tanto a battuta (stavo per scrivere solo “mi pagate a battuta” poi ho pensato a cosa mi sarei comprato scrivendo anche “un tanto a”…. – e poi ho pensato a cosa mi sarei comprato scrivendo anche: “(stavo per scrivere solo “mi pagate a battuta” poi ho pensato a cosa mi sarei comprato scrivendo anche “un tanto a”…. – e poi ho pensato a cosa mi sarei comprato scrivendo …. – – sherazade mi fa un baffo…..(anche se avrewi preferito mi facesse un’altra cosa altrettanto appropriata ma forse piú volgare, ma non lo scrivo che sarebbe una caduta di tono troppo grave)

  2. a Molotov: Cris ha ragione. Tu ti droghi. Ma di brutto. E qualunque cosa sia, portane un po’ mercoledì sera.

  3. Pur Troppo (salgarianamente staccato) il popolo dell’unione sovietica, amante della pace, mi ha mandato in missione segreta all’estero (non posso dirvi dove, se no tutti i nemici del popolo dell’unione sovietica, amante della pace, verrano a cercarmi qui a madrid in via vallhermoso 37), quindi non potró esservi utile; ma non temete: ritorneró (in ginocchio da te) (gianni morandi) dirige: il maestro Nuzio Sofferenza

  4. all’Autore. Non credo che tu abbia bisogno della roba di Molotov. Sei abbastanza fuori di tuo.

  5. E CHE CAZZO MANCO UN COMMENTO DAL 2006.
    VERGNOGNA E SVENTURA, MISCREDEDENTI FARABUTTI CHE LA MALEDIZIONE DEI FANNULLONI VI SI PIGLI LE PALLE.
    Non male ora leggo i seguito (ndr me)

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