RUR

Tutti ormai conoscono l’origine della parola “robot” (dove per “tutti” intendiamo “pochi” o “quasi nessuno al di fuori del meraviglioso mondo dei nerd”): Karel Čapek, scrittore cecoslovacco, coniò il termine “robot” nel 1920 per il suo dramma RUR – oppure, secondo Wikipedia, lo coniò suo fratello in un racconto intitolato “L’ubriacone”, ma non è il caso di stare a cavillare, ora – dove RUR sta per “i Robot Universali di Rossum”. Ma quanti, alla fine della fiera, se lo sono letto davvero, questo RUR? Eh? Bene, la Squadra Cazzate lo ha fatto per voi: cosa abbiamo trovato? Azione! Dramma! Suspence! Personaggi Memorabili! Dialoghi Sublimi! Tutto questo, sfortunatamente, manca in RUR, che consiste perlopiù di quattro o cinque persone in una stanza che parlano mentre fuori campo i robot si ribellano e distruggono il mondo. Detta così può sembrare un po’ poco, visto poi il successo che la parola “robot” ha avuto (unica parola, a dire il vero, fra tutte quelle che compongono RUR)… in effetti è difficile giudicare un testo teatrale senza vederlo recitato: il teatro ha convenzioni tutte sue, e delle frasi che in bocca a chiunque sembrerebbero delle immani cazzate, pronunciate su un palcoscenico – specialmente da un tizio con un enorme collare inamidato – fanno tutto un altro effetto. La trama non è ‘sta gran cosa (almeno per noi – magari ottant’anni fa faceva la sua porca figura): il signor Rossum crea i robot (che sono uomini artificiali, non macchine: sono creature biologiche, simili all’uomo ma “semplificate” – qualunque cosa voglia dire, probabilmente che non hanno l’appendice e, dato che non possono riprodursi, altri organi), i robot si ribellano e spaccano tutto. E quando hanno sterminato tutta la razza umana tranne il dottor Alquist si accorgono: “ehi, ma noi non possiamo avere figli! Cosa succederà quando saremo vecchi e malandati?”, e chiedono consiglio al summenzionato dottore. E il saggio dottor Alquist si accorge che una coppia di robot, Primus e Helena, hanno sentimenti, emozioni e non vogliono farsi vivisezionare: ne deduce che hanno l’anima e che dunque sono uguali agli uomini e non è il caso di preoccuparsi. Comunque sia, RUR è quel classico tipo di “storia con la morale”: non è difficile capire chi rappresentino i robot e a cosa si sia ispirato l’autore per la loro ribellione; e probabilmente anche gli altri personaggi sono più delle metafore che delle persone a tre dimensioni: il gretto Berman, l’idealista Alquist, il profetico Domain (con “profetico” intendo quel tipo di personaggio che si aggira dicendo cose insensate con tono grave e sofferente, come nell’immagine sotto); ci sono un paio di personaggi femminili che per lo più si aggirano dicendo “Oh!” e “Ah!” e facendo cose del tutto irrazionali e immotivate – l’impressione è che Čapek considerasse le donne un po’ meno intelligenti dei suoi robot. E anche il finale, con la coppia di robot che si allontana mano nella mano, come novelli Adamo ed Eva, sotto lo sguardo benevolo dello scienziato Alquist che legge l’inizio del Genesi (mentre risuona, vien da pensare, l’inno dell’URSS) ha un che di “approvato dal Partito”. E’ strano come un’opera tutto sommato non memorabile abbia avuto un impatto così radicale – vien da chiedersi: perchè proprio questo lavoro, e proprio questa parola? Dà da pensare, eh? Ma magari anche no. In effetti, il mondo è talmente cambiato, dal 1920, che la grande rivoluzione delle masse proletarie sembra la parte più fantascientifica, in questa storia di uomini artificiali. Ah, che pensiero profondo. E per concludere, dopo questa perla di saggezza, la vera chicca di RUR: abbiamo menzionato “una coppia di robot”, e in effetti i robot sono organismi viventi. Ebbene, sappiate che il femminile di “robot” è “robotessa”. Questa sì è stata una sorpresa.

RUR2


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4 pensieri profondi su “RUR

  1. ammetto la mia ignoranza…ma allora si sarà ispirato a questo romanzo Philip K. Dick per i replicanti del suo Blade Runner?

  2. non saprei, non conosco dick così tanto; comunque il paragone è più che calzante…

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