Il Re Pescatore


Tanto per restare in tema di Prescelti, e di luoghi comuni, avevamo una mezza intenzione di leggere questo «Bryan di Boscoquieto nella Terra dei Mezzidemoni», opera prima di tale F. Ghirardi, giovane virgulto & talento emergente (?) della pirotecnica scena fantasy italiana – libro di cui abbiamo letto entusiastiche recensioni (qual’è il nome di quella figura retorica in cui si scrive una cosa per affermarne l’opposto?) e in cui, a quanto sembra, si può leggere la frase «Se diventerò un discepolo potrò aiutare gli altri e proteggere la gente comune dai demoni e da tutti i mostri del cazzo». Fra parentesi, questo genere di cose ci fa sempre immaginare una scena di questo genere: nella Oxford del dopoguerra, JRR Tolkien legge agli Inklings le prime stesure del Signore degli Anelli: «E allora Frodo disse a Gandalf: si, porterò io l’Anello a Mordor: così potrò aiutare gli altri e proteggere la gente comune dai Nazgul e da tutti i mostri del cazzo». WH Auden vene colto da infarto, Charles Williams si getta dalla finestra, CS Lewis, alzando un sopracciglio, dice, con perfetto aplomb inglese: «Credo, old chap, che bisognerà lavorarci su un pochino.» Comunque sia, proprio in quel fatidico momento, la Musa delle Cazzate ci ha rimesso sotto il naso questo Re Pescatore, di Tim Powers, anno 1979, oramai introvabile, che avevamo già letto in tempi non sospetti traendone gran benefizio, e ci ha fatto notare che anche qui il protagonista si chiama Brian. Folgorati da questa coincidenza d’indubbia origine divina, e convinti, da bravi pensionati, che qualunque nuova serie di telefilm non sarà mai come l’ennesima replica di Matlock, abbiam fatto la nostra scelta.
Per farla breve, il bello di questo libretto è che tutti bevono. E non è mai acqua. E’ un gran bel fantasy, ed è un fantasy sulla birra (fra l’altro, il titolo inglese è “The Drawing of the Dark”, che si può tradurre con “l’avvicinarsi dell’Oscurità”, ma anche, con un po’ di fantasia, come “lo Spillaggio della Scura”). E’ la storia di Brian Duffy, acciaccato e attempato mercenario irlandese, che nella Venezia del Cinquecento viene assoldato dal classico misterioso vecchio per un lavoro all’apparenza facile e ricco di gratificazioni: fare il buttafuori in una birreria, su al Nord. Così Duffy si mette in viaggio per Vienna, che fra parentesi, in quel periodo era sotto assedio da parte dell’esercito turco. Duffy non è un fringuello, come si suol dire, e capisce subito che il vecchio – Aurelianus – non gli ha detto tutto: un po’ per i suoi modi misteriosi, un po’ per la sua lunga palandrana nera e vagamente iettatoria, un po’ per la sua abitudine di fumare strane cose. E un po’ per il fatto che per tutto il viaggio Brian è accompagnato da spettri e draghi, basilischi e nani balestrieri, e tutta una serie di mostri erranti che farebbero la gioia di qualsiasi Dungeon Master, un po’ meno quella degli occasionali monaci itineranti o mercanti che ne incrociano il cammino. In effetti il romanzo si apre con una scena che, di Aurelianus, ci dice molto: in una stanza, un vecchio Re malato giace sul letto, e Aurelianus gli porge un traboccante boccale di birra. Chi sarà mai questo Re malato? E questo vecchio saggio che gli sta accanto? Se al secondo paragrafo non l’avete ancora capito, andiamo male: vuol dire che mancano proprio le basi. La presenza, comunque, del Re Pescatore ci assicura che stiamo per imbarcarci in una storia epica: e in effetti il lavoro di Brian alla birreria Zimmerman è molto più importante di quel che sembra. Perchè l’assedio dei Turchi non mette in pericolo solo Vienna, ma tutta l’Europa: è un attacco al cuore stesso del Mondo Occidentale. E questo cuore, ed e qui che il romanzo sale assai di livello, non è una chiesa nè un monastero: è proprio la Birreria Zimmerman. Già. Seimila anni prima di Cristo, la Birreria esisteva già, con altri nomi, e l’immenso tino che giace nei suoi sotterranei contiene una Birra che, non solo è spettacolare, ma è un vero e proprio elisir di lunga vita. Il tino è senza fondo, e poggia direttamente sulla terra: la Birra si mescola dunque al buon vecchio suolo europeo: la terra delle grandi foreste, degli spiriti e dei guerrieri, degli dèi numerosi nascosti in ogni luogo. Se un romanzo del genere uscisse oggi qualcuno parlerebbe di scontro di civiltà, di Oriente contro Occidente, di Islam contro Cristianità, di radici cristiane della cultura europea. Ma di personaggi cristiani in questo libro non ve ne sono, se non qualche monaco di passaggio, e Brian, nel suo viaggio sosta in una taverna popolata di Satiri e Fauni, dove un vecchio perennemente ubriaco, la fronte cinta di foglie, sonnecchia in un angolo; e sulle Alpi i mostri e i nani che lo accompagnano lo portano in un tempio preistorico che era già vecchio di millenni quando San Pietro arrivò a Roma; e nella battaglia contro i Turchi sarà aiutato da un drappello di pensionati vichinghi discesi dalla Scandinavia, e dalle ombre di legioni romane e triremi fenicie. Le radici di cui parla questo libro sono quelle plurimillenarie e pagane dei Romani, dei Celti, dei Vichinghi, dei Goti e dei Greci, e di tutti i popoli perduti ormai nelle nebbie della storia: popoli che adoravano dèi diversi ma con gli stessi riti e negli stessi giorni, nei Solstizi e negli Equinozi, e che mai si sarebbero permessi di dire: il mio Dio è quello vero (quindi, aggiungiamo noi, caccia l’otto per mille).
Questo insomma è il classico libretto, all’apparenza senza pretese che si rivela, invece, a) molto divertente b) molto piacevole da leggere c) molto più profondo di quel che sembra. Sul simbolismo del Re Pescatore e della Terra Desolata, del Calderone dell’Abbondanza, del Campione Eterno e del Boccale della Buona Sorte è stato scritto più di quanto potremo mai leggere in tutta la vita; sul fatto che possa esser inteso come metafora della lotta tra Islam e Cristianità o che debba invece essere inserito nell’index Librorum Prohibitorum (assieme alle opere di Galileo, ma non, giova sempre ricordarlo, al Mein Kampf), non ci esprimiamo; ci limitiamo a far notare che, in questa storia, il braccio destro del sultano, il perfido Gran Visir (era Pratchett quello che diceva che da che mondo è mondo nessuno ha mai visto un Gran Visir che non fosse perfido?), si chiama Ibrahim: vale a dirsi: Abramo – patriarca, guarda caso, delle tre religioni monoteistiche. Fate un po’ voi. E con questo prendiamo congedo.


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