Il Matrimonio Alchimistico di Alistair Crompton


“Il medico più anziano aveva
una lunga barba grigia
biforcuta e indossava
in modo autorevole
dei calzettoni scozzesi, forse
per mettere in evidenza
le sue intenzioni ambigue.”

Detto questo, mi pare ci sia poco altro da aggiungere. Il bello dei vecchi Urania è che sono brevi, e si possono leggere in quattro e quattr’otto, come in questo caso, mentre si aspetta di strafocarsi al pranzo di Natale alla faccia degli ignavi e degli indigenti. Comunque, a parte questo, abbiamo qui un paradossale romanzo di fantascienza psichedelica pronto a confermarci, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che Sheckley era un genio. Alistair Crompton è un creatore di profumi: le sue opere sono famose in tutta la Galassia e lo hanno reso ricchissimo e rispettato. Ma Crompton non è un uomo felice: pignolo, controllatissimo, insensibile alla bellezza e al divertimento, è una persona cui manca qualcosa. Nel vero senso della parola: da bambino gli fu diagnosticata una schizofrenia terminale, e, nel tentativo di salvare la parte principale della sua mente, le sue personalità multiple gli furono estirpate con un ardito intervento psicochirurgico, per poi essere impiantate in corpi sintetici. Così Crompton è un uomo dimezzato: la sua parte giocosa e sensuale, così come quella aggressiva ed animalesca, sono state date in adozione, e per giunta su lontani pianeti. Così, arrivato alla quarantina, Crompton decide di imbarcarsi in un viaggio per ritrovare sè stesso – e non è un modo di dire – e tentare di riconciliarsi con i suoi alter ego. Fin qui, tutto bene. Se non che Sheckley a questo punto parte per la tangente e il romanzo diventa un vero delirio psichedelico: per farvi un’idea, immaginate una storia scritta a quattro mani da Douglas Adams e PJ Farmer in acido. Ecco. Crompton si reca prima sul pianeta Aaia, dove la sua controparte Edgar Loomis si guadagna da vivere alle spalle di ricche signore e, occasionalmente, come attore porno. E poi sul selvaggio Ygga, alla ricerca di Dan Stack, criminale pluriomicida e folle – già, anche le personalità multiple di Crompton hanno personalità multiple: e nella testa di Stack si nasconde il misterioso e taciturno Barton Finch (chissà se i fratelli Coen avevano letto questo romanzo prima di scrivere Barton Fink). Ma la convivenza dei quattro non è per nulla facile: lungi dal fondersi in un’unica entità equilibrata, litigano e si detestano dal primo istante. Così Crompton si reca ad Aion, un centro per la cura delle malattie psichiche, il cui motto è “Mente Sana in Corpo Sano Altrimenti Crepa”. E qui la realtà, già pesantemente messa alla prova (per non parlare della coerenza interna della storia), crolla definitivamente in un tripudio di visioni, illuminazioni, allucinazioni, bizzarrie e assurdità sparse. Non vi dico come va a finire – forse perchè non l’ho capito nemmeno io; vi accenno soltanto alla presenza, nelle ultime pagine, del più plateale ed improbabile deus-ex-machina che si sia mai visto: sto parlando del Comitato per la Salvaguardia dell’Integrità del Racconto, altrimenti noti come i Vigilantes degli Archetipi. Non so se mi spiego.

“Io sono Thangranak – proclamò la minacciosa presenza. – sappiate che adesso le tre lune di Kvuuth sono allineate con la grande costellazione di Greptzer e che gli adoratori dell’Abominio a Pallini esigono sangue in dono, secondo il nostro antico accordo. Così io sono venuto, con mezzi troppo transeunti per poter essere immaginati, a imporre la Morte sul Prescelto!”
Oh, beh… appunto.


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