La Città del Re Leucrotta – Cap. XIII

Attraverso le Foreste

 

Un paio di giorni dopo la carovana di Vronch giungeva a Oragalkh, una borgata che non valeva meglio delle altre, poco abitata, con capanne di canne e di fango e coi tetti di paglia, piantate su pali e disposte lungo la riva di un fiumiciattolo verdastro e limaccioso. La spedizione si stava per inoltrare attraverso i selvaggi territori dell’alto Fethrund, abitati da tribù quasi indipendenti, piuttosto avverse alla dinastia dei re coboldi.
Prima di prendere una decisione, Vronch, il dottore e Fang tennero consiglio coi quattro avventurieri. Il generale aveva proposto di assoldare dei coboldi del luogo come portatori e battitori, ma Baroz e i suoi compari non sembravano apprezzare l’idea, cosa che non mancarono di sottolineare piantando asce e coltelli nel tavolo attorno al quale si erano seduti. La proposta fu accantonata.
Erano le sei pomeridiane quando, prima del pranzo offerto dal governatore, lasciarono in fretta e furia la borgata, prendendo risolutamente la via dei grandi boschi, che dovevano ormai accompagnarli fino al lago di Zolph-Urplah.
Infatti il Fethrund settentrionale non è altro che una immensa foresta, dove i legnami più preziosi e le piante più ricercate crescono senza coltura alcuna, tanto sono fertili quelle terre mai sfruttate da alcuna coltivazione. I toglon crescono accanto agli alberi della carestia; gli alberi dell’olio, dell’aceto e della morte improvvisa insieme ai banani illusori ed ai funghi fluttuanti; gli ipnococchi mescolati ai tamarrindi, ai durz dalle frutta deliziose ma mortali, agli areca, ai sagaci ont contenenti una polpa velenosa che serve a fare un sacco di cose, agli alberi della ghisa e a quelli che dànno la polvere dell’aquila, qualunque cosa sia; ai tonkh dalle cui cortecce si estrae una specie di carta bollata; oltre a tanti altri che sarebbe troppo lungo enumerare.
Il taciturno signor Dinz, che assicurava di conoscere a menadito la regione, anche quella che si estendeva al di là di Oorblu, si era messo alla testa del drappello, mentre Fang si era posto alla retroguardia, per vigilare sui maiali che portavano i viveri, le tende, le coperte e le munizioni nonché le armi di riserva.
Il drappello dopo tre ore si trovò ben presto sui primi pendii di quella lunga catena di monti che serpeggia per il Fethrund centrale, unendosi con quella più massiccia di Kao-Fudog, e che divide il versante del Fulukh da quello più ampio dell’Ugla-Vald.
Foreste immense si estendevano dovunque, formate da una infinita varietà di alberi e popolate da miriadi di creature, che salutavano il passaggio del piccolo drappello con sberleffi, scrosci di risa, urla diaboliche e anche con una pioggia di frutta, rami e bulloni. Tutte le numerose specie che infestano le campagne e i dungeon della immensa penisola sembravano avere colà dei rappresentanti regolarmente eletti.
«Affrettiamoci a lasciare questa foresta,» diceva il dottore. «Ma… che cos’hanno i nostri maiali che continuano a fare degli scarti e ad impennarsi?»
«Si sentono mordere le zampe,» disse Dinz, che da qualche momento guardava attentamente a terra.
«Da chi?»
«Sanguisughe dei boschi.»
Il dottore abbassò gli sguardi e vide pullulare per terra, scivolando e balzando, delle variopinte sanguisughe, più sottili e più piccole di quelle comuni. Ve n’erano centinaia e centinaia, che cercavano di aggrapparsi alle gambe dei maiali con rampini e corde in miniatura.
«È un altro flagello delle nostre foreste,» disse Vronch. «Specialmente dopo la stagione delle piogge si moltiplicano spaventosamente, a segno che certe volte non si può più passare attraverso le selve umide.»
«Che salassi alle nostre gambe, se non fossimo a cavallo!» esclamò Eriprando. «Cioè, insomma, a maiale. Beh, ci siamo capiti.»
«Tra poco scompariranno, » disse Baroz. «Ecco la foresta asciutta che ricompare. Fristan, dove siamo?»
«Scendiamo nella valle di Gluneira,» rispose Dinz. «Là non avremo più da temere le sanguisughe, ma piuttosto le gorgoni.»
«Quasi le preferisco,» rispose il dottore.
«Contento lei.»
Oltrepassata la cima della prima collina, apparve dinanzi ai loro sguardi una valle che si prolungava tra due catene di monti. Era larga parecchi chilometri, disseminata di immensi alberi toglon che lanciavano le loro cime acuminate a sessanta e più metri ed ingombra qua e là di piccole jungle, formate da funghi smisurati e da piante spinose, luoghi favoriti da ogni sorta di mostro errante.
«Il passo che ci condurrà a Oorblu,» disse Baroz.
Fecero una breve fermata per prepararsi la colazione, poi qualche ora dopo cominciarono a scendere nella valle.
Dinz aveva raccomandato di avere le armi pronte e di tenersi lontani dalle macchie, entro le quali poteva celarsi qualche bestia. In mezzo ai toglon e fra le boscaglie che coprivano i due margini della valle, salendo fino alle più alte cime della collina, non si udiva rumore alcuno. Solamente qualche grido stridente, mandato da qualche tucanodonte, rompeva di quando in quando il silenzio.

Avevano già percorso un paio di miglia, tenendosi sempre in mezzo alla valle, quando improvvisamente udirono risuonare, fra i boschi che coprivano i fianchi della montagna più prossima, un grido strano, quasi metallico, che pareva fosse uscito più da qualche enorme strumento di ottone che dalla gola d’un animale.
Ullogh, udendolo, trasalì.
«Che grido è questo?» chiese il dottore. «Non è né il barrito d’una manticora in furore, né quel grido acuto che manda la bulette quando viene colpita a morte, né l’urlo del catoblepa quando, per motivi anche futili, avverte un certo fastidio.»
«Non saprei dirvelo,» disse Vronch, che appariva un po’ sorpreso. «Hai mai udito un grido simile, Fang?»
«No, padrone,» rispose questi, che ascoltava attentamente.
«E voi signori?»
«Solo un troll furibondo può averlo mandato,» rispose il nano.
«Ne ho cacciato più d’uno, eppure anche nelle loro cariche irresistibili mai li ho uditi lanciare un tale grido,» disse Fetedhras.
«Non so che cosa dire,» puntualizzò Salnighiel.
Si fermarono qualche minuto, sperando di riudire quella nota strana; poi ripresero il cammino.
La marcia nella valle, che diventava sempre più selvaggia, continuò fino a che il sole scomparve e le tenebre cominciarono a calare. Verso le nove Dinz diede il segnale della fermata, assicurando che in quei dintorni si trovava una fonte. Il luogo scelto per l’accampamento era ottimo, non essendovi che pochi alberi e nessun cespuglio dove si potesse nascondere qualche animale pericoloso: la vera foresta non cominciava che a quattro o cinquecento passi di distanza e si estendeva su uno spazio immenso, essendo la valle diventata larghissima.
Prima di alzare le tende, Salnighiel, armatosi d’una specie di sfera di cristallo, esplorò il suolo tutt’intorno al campo in cerca di trappole, serpenti e spiriti maligni; poi accese due fuochi e mise la pentola di rame – ormai priva dello spirito che conteneva – a bollire.
Mentre lui e Dinz preparavano la cena, il dottore con Fang e Vronch, andò a fare raccolta di banane illusorie e di pistacchi, avendo scorto parecchie di quelle piante sul margine della foresta.
«Io credo che abbiano esagerato,» disse Eriprando mentre tornavano carichi di frutta. «Non si ode alcun animale qui, ed in quanto alle gorgoni, le credo ben lontane.»
«Io però non oserei cacciarmi da solo in queste foreste,» rispose Vronch, «e specialmente di notte. Quando meno la si aspetta, la gorgone compare. Sono animali astuti, dottore, che assaltano solo a colpo sicuro.»
«Eppure non rinuncio all’idea di recarmi a visitare la foresta assieme agli altri. Salnighiel mi ha parlato di una sorgente qui vicino, dove si possono trovare erbe particolari e funghi dalle proprietà straordinarie.»
«Non penserete che vi accompagni anch’io, dottore?» chiese Ukhurra.
«No, certo che no,» disse il generale. «Una… ehm, donna si trova troppo impacciata nelle folte foreste e nelle jungle.»
«Non sarebbe prudente, è vero, generale?» disse Eriprando. «La caccia notturna è ben più pericolosa di quella diurna. Le occasioni non mancheranno per far roteare la vostra mazza da cricket.»
«Ne avremo forse perfino troppe,» disse Vronch.
Quando tornarono, la cena era già pronta. Il dottore mangiò in fretta qualche pistacchio (anche perché le banane illusorie erano puntualmente svanite), cambiò carica alla carabina, si passò nella fascia un lungo coltellaccio e s’alzò, dicendo agli avventurieri: «Signori, quando volete io sono pronto.»
«E la signora?» chiese Baroz.
«Rimarrà al campo.»
Il nano fece un segno d’assenso, poi disse: «Seguitemi, signore.»
«Siate prudente, dottore,» disse Vronch. «Se non vi fossero i maiali da guardare, vi accompagnerei, ma ci tengo a non perderli. Desiderate che Fang vi segua?»
«È inutile, generale; d’altronde la nostra assenza non sarà lunga.»
«In caso di pericolo, sparate tre colpi a brevi intervalli.»
«Siamo d’accordo: buon riposo.»

Pochi minuti dopo, i cacciatori si trovavano nella foresta, la quale non era, almeno sul principio, così folta come l’avevano creduta, poiché le piante crescevano a gruppi staccati. Dinz, che doveva conoscere quei luoghi a menadito e che, come la maggior parte dei raminghi, aveva l’istinto dell’orientamento, si diresse verso la montagna, quantunque, trovandosi sotto quelle altissime piante, non potesse scorgerla.
Si era messo dinanzi al dottore, tenendo il fucile sotto il braccio e la sinistra sulla lunga impugnatura del suo coltellaccio a lama larga e quadra, tagliente come un rasoio. Camminava senza parlare, come se fosse assorto in un profondo pensiero; e si capiva che si teneva in guardia, perché di quando in quando girava il capo a destra ed a sinistra, curvandosi ora da una parte e ora dall’altra per meglio raccogliere i più lievi rumori, impresa del resto impossibile visto il baccano prodotto dagli altri.
La foresta invece era silenziosa, come se nessun essere vivente la popolasse. Non si udivano né grida di bestie notturne, né sibili di serpenti, né stridore di lucertole volanti, che pur sono così numerose nelle selve d’Oriente.
Avanzarono così per circa mezz’ora, girando attorno a macchioni di brung e di toglon, finché giunsero su un terreno umidissimo, ingombro di enormi funghi.
Il gruppetto si arrestò.
«È questa la famosa sorgente?» chiese il dottore.
«Non direi proprio,» rispose il nano. «Ma non importa. In realtà il motivo della sosta è un altro.»
Fetedhras afferrò il dottore per la collottola, mentre gli altri si avvicinavano con aria alquanto minacciosa.
«Allora, dottore. Di che cosa voleva parlarci?» chiese il nano, con voce melliflua.
«Io? Ehm… beh, si, in effetti…» annaspò. «Non volevo che i tre coboldi ci sentissero… ehm… il fatto è che ho una proposta da farvi.»
«Siamo tutt’orecchi.»
«Vedete… ehm… il fatto è che c’è stato un terribile equivoco.»
«Ma pensa.»
«Ehm… si. Per quanto sembri strano, i soldi non stanno davanti a noi, ma dietro.»
«Ah, si?»
«Esatto. Noi non – e sottolineo non – abbiamo nessuna intenzione di arrivare fino alla leggendaria città perduta. In realtà non volevamo neanche partire.»
«A costo di ripetermi: ah, si?»
«Si. E per favore, mettete giù quell’ascia. Ci siamo imbarcati in questa spedizione nella speranza che la vecchia ci schiattasse. Capite, una banale questione di eredità.»
«Capisco perfettamente. E quindi, di grazia, che cosa ci proponete?»
«Beh, è semplicissimo. Non possiamo, cioè potete, eliminare la vecchia come da precedente accordo e tornare con noi tutti insieme a Kuglurg a riscuotere? Eh?»
«No.»
«Come no? Suvvia, ragazzi, pensateci bene. Da una parte un viaggio nella foresta verso una meta incerta e perigliosa. Dall’altra un lavoretto semplice semplice come rubare le caramelle a un coboldo.»
«Beh, Baroz,» disse Salnighiel, «Messa così non è neanche poi male.». Fetedhras e Dinz annuirono convinti.
«Gente, mi meraviglio di voi,» stava dicendo Baroz. «E così vorreste dar ragione a questo spaventapasseri? A questo ci siamo ridotti? Rapinare una vecchia?»
«Beh, non sarebbe la prima volta,» fece notare Fetedhras.
«Ma che c’entra? Stiamo parlando di avventura! Esplorare, trovare, conquistare… massacrare. È ben più che una semplice rapina! È questo, ciò che siamo? Rapinatori?»
«Uh, Baroz, dobbiamo sempre finire a parlare di questo?»
«Avventurieri! Ecco ciò che siamo! Noi non lo facciamo per i soldi! Noi non lo facciamo per la gloria! »
«Scusa se interrompo,» disse Dinz, alzandosi. «Vado a dare un’occhiata in giro. C’è qualche bestia, qui attorno, e non vorrei che interrompesse il tuo monologo.» Si allontanò.
«Va bene, va bene,» acconsentì il nano. «Parliamone. Ma prima, Mamuc, metti a dormire il vecchietto.»
«Come vuoi. Buona notte, dottore.» Salnighiel puntò le dita verso Eriprando e borbottò una parola. Il dottore cadde a terra come un ciocco.


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