La Città del Re Leucrotta – Cap. VI

Il Ministro del Re

L’ ultimo dei Baldench era appena spirato e Vronch era appena uscito per recare al re la triste notizia, quando un coboldo, approfittando della commozione generale che regnava nella sala del leucrotta, usciva inosservato per una porticina che metteva dietro le mura della cinta reale. Quel tale era uno dei servi incaricati di vegliare l’ultimo Baldench, e che nel momento in cui Vronch manifestava al brauusk favorito i suoi sospetti, si era trovato così vicino a loro da non perdere una sola parola. Camminava rapidamente lungo la cinta, guardandosi di frequente alle spalle, come se temesse di essere seguito da qualcuno, e pareva in preda ad una profonda ansia: i suoi occhi bulbosi, che tradivano in lui sangue yeek, scrutavano i viali, e la sua pelle giallastra diventava livida al minimo rumore.
Giunto presso una delle tante porte della cinta, trasse dalla sua larga fascia una chiave e l’aperse con precauzione.
Al di fuori un giovane coboldo dalle scaglie scurissime pareva lo attendesse, tenendo per la briglia uno di quei piccoli e ardenti maiali del paese, bardati all’orientale, con staffe corte e larghe e gualdrappa rossa e infioccata, trapunta in oro.
«Il padrone ti attende,» disse al mezzo-yeek.
Con un salto quest’ultimo fu in sella e raccolse le briglie, dicendo:
«Yeeeh! Giddap, bestiaccia!».
Il maiale, sentendosi libero, partì di carriera, sollevando un nembo di polvere: seguì per qualche chilometro la cinta del palazzo reale, poi si slanciò fra le tortuose e fangose vie della vecchia città, atterrando tre o quattro passanti che non avevano avuto il tempo di evitarlo, finché sbucò sul gran viale costeggiante il Fulukh, fiancheggiato da bellissime case ormai fatiscenti colle verande illuminate da enormi lanterne di carta oliata variopinta.
Il mezzo-yeek lo lasciò galoppare per alcune centinaia di metri, poi con una violenta strappata lo arrestò dinanzi ad una villa grandiosa, d’architettura esotica, coi tetti arcuati ed irti di punte e di comignoletti scintillanti d’oro. Alcuni servi, sfarzosamente vestiti di stoffe gialla a fiorami di colori pacchiani, stavano chiacchierando e masticando fango sulla gradinata della palazzina.
«Il vostro padrone?» chiese il mezzo-yeek, balzando a terra con un’agilità da cavallerizzo perfetto.
«È nel suo gabinetto,» rispose un valletto, «la sai la strada o devo annunziarti?»
«Non occorre.»
Entrò, salendo una gradinata di legno traballante, coperta da tappeti infeltriti e disseminati di blatte morte, colle ringhiere di metallo arrugginito e, senza nemmeno bussare, aperse una porta di legno con laminette di calcedonio e opali azzurri. In un elegante salotto, tappezzato tutto in stoffa goblin ricamata con disegni di nani ed elfi intenti in atti innominabili, un coboldo stava sopra un immenso cuscino rattoppato, fumando una pipa formata da una conchiglia, dal cui camino si sprigionavano nuvolette di fumo untuoso e puzzolente.
Era un coboldo obeso, interamente calvo, fra i quarantacinque ed i cinquant’anni, dalla fronte bassa, le zanne assai sporgenti, gli occhi obliqui e la pelle giallastra, dalle scaglie flaccide. In tutta la sua persona c’era quel non so che di falso e di ripugnante tipico dei suoi consanguinei, ma molto più evidente, malgrado la ricchezza delle sue vesti di flanella azzurra cosparse di specchietti e di frammenti di pecblenda, le collane che dovevano costare dei tesori, ed il sorriso che non abbandonava mai le sue labbra.
Vedendo entrare il servo del Leucrotta Bianco, si levò di colpo, esclamando:
«Tu, Ullogh!…»
«Io, signore.»
«Il Baldench?»
«Morto or ora.»
Un sorriso di gioia feroce comparve sulle labbra del grasso coboldo.
«Sono finalmente vendicato!» esclamò con voce giuliva. «Ah! Vronch ha cercato di incastrare Cram-Hupah, il possente ministro del re! Mi conosceva troppo male quell’imbecille. Credeva di essere invulnerabile, ed è caduto come un colosso d’argilla. Non si offende impunemente un uomo par mio! Mi ha offerto la mano di Ukhurra; un giorno, dovessi travolgere nella rovina tutto il Fethrund, me la pagherà!». Si interruppe per lanciarsi in una risata diabolica. «Folle! Sfidare la mia collera! Non basta il coraggio per sposare quel mostro: ed ecco la mia salute compromessa, la mia tranquillità perduta, il mio onore fatto a pezzi, mentre avrei potuto vivere tranquillo! Me la sogno di notte! La vedo in ogni ombra! Quel mostruoso profilo mi perseguita! Solo l’oppio la tiene lontana! L’offesa che m’ha fatto la pagherà cara! Ukhurra, Ukhurra, tuo nipote piangerà lacrime di sangue, strega infernale! Ehm…», si interruppe per riprendere fiato, «dicevamo…Come era, quando è uscito per recarsi dal re?»
«Irriconoscibile, mio signore,» rispose il losco Ullogh.
«Chissà il re, che incazzatura!» disse Cram-Hupah, con un sorriso sbilenco. «Me la immagino la scena. Il mio veleno non doveva fallire nemmeno contro l’ultimo dei Baldench.»
«Un veleno terribile, signore.»
«Ho chiuso io stesso, entro un bambù del mio giardino, il più alto ed il più grosso, il baffo d’una pantera distorcente, ed ho spremuto colle mie dita il liquido del verme che era nato. Non mi sono però accontentato di questo, e vi ho unito una forte dose d’un veleno vegetale che avevo raccolto nei nostri boschi della Cambogia. E poi della polvere da sparo e del chili scaduto da sei anni. Nessuno avrà avuto alcun sospetto, è vero, Ullogh?»
A quelle parole il viso del coboldo si rannuvolò, e il suo turbamento non sfuggì allo sguardo acuto del ministro del re.
«Mi sembri inquieto,» gli disse il gran giustiziere, con voce aspra. «Che cos’hai?»
«Vronch non mi parve convinto che la morte dei Baldench fosse naturale,» rispose Ullogh, con voce esitante.
«Che cosa ti ha detto?» chiese il ministro, aggrottando la fronte.
«A me, nulla, ma ha manifestato dei sospetti parlando col brauusk del leucrotta bianco.»
«Sospetta di me?»
«Oh no, signore: del re di Uruth.»
Cram-Hupah scoppiò in una risata.
«Che babbione! Tutti i coboldi sono babbioni! Tranne me! Ah ah ah ah! Il re di Uruth! E a quale scopo avrebbe fatto avvelenare i Baldench del re del Fethrund?»
«Per gelosia.»
«Ciò è cosa che non ci riguarda, vero, Ullogh? Sono fedeli i tuoi complici?»
«Sono tutti mezzi-yeek, e non credono alle trasmigrazioni di Krustulas. Per noi sono tutte cazzate.»
Il ministro del re s’avvicinò ad un pesante mobile in legno borchiato, una specie di forziere tutto intagliato e laminato in piombo, aperse uno sportello e ne estrasse un sacchetto di pelle di gnoll, che pareva pesantissimo.
Levò quattro verghe d’oro e le porse al Cambogiano, i cui occhi bulbosi erano diventati ardenti, al veder scintillare nelle mani del ministro il fulvo metallo.
«Ecco qui mille nichelini che dividerai coi tuoi complici,» disse. «A più tardi il resto, giacché la vostra impresa non è ancora terminata. Un giorno tu sarai Gran Conestabile. O Balivo. O Valvassino, scegli tu.»
«Non vi sono più Baldench da uccidere, mio signore!» disse Ullogh.
«Ma vi è Ukhurra da sistemare,» rispose Cram-Hupah. «Credi tu che io non voglia raccogliere i frutti della mia vendetta?»
«Vuoi che uccida la vecchia?»
«Non ce la faresti. La sola visione… brrr. Mi basta allontanarla. Tipo nel Piano Astrale.»
«Che cosa devo fare?»
«Recarti al Tempio di Quor-Ixul e avvertire Pepetu di recarsi qui all’istante. Prenderai una lettiga con otto servi. Faremo fare della strada a quel bravo talpone, giacché ambisce di diventare il capo della comunità! Fa’ presto: quel prete mi preme.»
Ullogh mi mise nella cintura le verghe d’oro, fece un profondo inchino e uscì correndo.
Non erano trascorsi venti minuti, quando Cram-Hupah, che si era ricoricato sul largo cuscino polveroso, riaccendendo la sua pipa carica d’oppio e sorseggiando una tazza di grolla bollente, udì il gong sospeso alla porta risuonare fragorosamente.
«Deve essere quel bravo talpone. Riceviamolo degnamente, quantunque lo ritenga un briccone mio pari.»
Un uomo-talpa magrissimo, col muso incartapecorito e rugoso, entrò, facendo un profondo inchino e dicendo con una voce fessa e lamentosa, punto piacevole:
«Che Krustulas guardi il ministro del re.»
Quell’uomo-talpa aveva il capo scoperto e privo di capelli, i piedi nudi, il corpo rasato e grigino; era avvolto in tre pezzi di stoffa a quadrettoni marroni e viola, il colore riservato al re: il primo gli avviluppava il braccio sinistro e metà del corpo fino alla cintura, lasciando nudo il braccio destro: il secondo dalla cintura gli scendeva fino ai polpacci delle gambe: il terzo invece gli avvolgeva le reni come una larga fascia e sosteneva una lunga corona formata di cento e tredici globetti di zirconio, di cui si servono tutti i talponi per recitare le loro preghiere senza addormentarsi.
Oltre ad aver il capo rasato, aveva così anche il muso e perfino le sopracciglia, ma portava enormi baffoni asburgici.
I talponi sono monaci fedeli a Krustulas e, soprattutto nel Fethrund, formano delle corporazioni potentissime e assai rispettate non solo dal popolino e dai nobili, ma anche dallo stesso re: posseggono un numero infinito di monasteri, tutti sotterranei, che racchiudono dei tesori favolosi. Ve ne sono di parecchi ordini, e tutti devono vivere di carità e mendicare ogni giorno alle porte dei ricchi e anche dei poveri; e non tornano mai alle loro gallerie a mani vuote, anzi sempre carichi come muli, giacché nessuno oserebbe rifiutare a così santi uomini una moneta o una scodella di tapioca o dei poponi o altro.
Ricevono poi offerte dai grandi e dallo stesso re, il quale anzi tutti i giorni accoglie i monaci della pagoda di Quor-Ixul, che formano fra i talponi una specie di aristocrazia, e che devono venire nutriti a spese della corte, e spesso se ne approfittano. Il talpone che era entrato nel salotto di Cram-Hupah non era un monaco qualunque, anzi per i suoi meriti e per le sue virtù era stato innalzato alla dignità di vescovo, e ne portava le insegne dorate sul talapio che teneva in mano, una specie di ombrello di seta gialla, che quei religiosi portano sempre con sé, onde coprirsi il viso ogni volta che incontrano delle donne, oppure picchiarle. Quest’oggetto, assieme alla corona e agli occhiali scuri, formano il corredo irrinunciabile di qualunque talpone che si rispetti.
«Che cosa desideri da me, ministro?» chiese il monaco, dopo essersi seduto su un seggiolone di bambù, offertogli premurosamente da Cram-Hupah.
«Sai, talpone, che il Baldench è morto?»
«L’ho appreso or ora e non puoi immaginarti, ministro, il dolore immenso che mi ha cagionato quella notizia.»
«Ed a me del pari,» disse il ministro strizzando gli occhi, «e prevedo che gravi disgrazie colpiranno il nostro povero paese, se non si troverà qualche altro Baldench che incarni l’anima di Krustulas.»
«Possibile che non ne esista più alcuno nelle folte foreste del settentrione? Che il nostro paese sia stato maledetto?»
«Tutte le spedizioni organizzate dal re sono tornate a mani vuote, e temo anch’io che qualche possente stregone o qualche genio malvagio abbia gettato la jettatura sul regno.»
«Qualche necrospettro o vampiro? Un Lich? »
«O una di quelle terribili lamie e streghe volanti di cui parlano le nostre storie e i nostri libri sacri; a meno che…»
«Parla, ministro,» disse il talpone.
«La notte di ieri io l’ho trascorsa pregando dinanzi alla statua di Krustulas, nel tempio di Quor-Scepulon, affinché il dio m’indicasse il luogo dove potessi trovare un altro Baldench e salvare così il regno dai disastri che non tarderanno a colpirlo.»
«Ma bravo. E te lo ha indicato?» chiese il talpone, con ansietà.
«Tornando a casa verso l’alba, mi sono sentito cogliere da un sonno irresistibile e poco dopo m’è apparso in sogno Krustulas.»
«Il dio?»
«No. J. Krustulas Esposito, idraulico. Il dio! Certo! Quanti Krustulas conosci, cazzo?»
«Scusa, scusa, è che mi emoziono a sentir parlare di visioni mistiche», farfugliò il talpone nascondendosi dietro l’ombrello. «E ti ha parlato?»
«Certo che mi ha parlato,» rispose il ministro imperturbabile. «Egli montava una gigantesca viverna dalle penne d’oro, col rostro e gli artigli di apatite e gli occhi di quarzo; recava sui fianchi la scritta “Ahi Cocalorum”. M’invitò a salirvi, dicendomi: “Ti voglio condurre, giacché mi hai tanto pregato, in un luogo ove tu troverai il Sacro Pungolo che io ho sepolto prima di abbandonare la terra, e senza il quale non si potrà trovare alcun Mostro Bianco che si rispetti.” Poi la viverna riprese il volo con rapidità prodigiosa; seguendo il corso del Fulukh, finché si librò sopra una città semidiroccata, con alte cupole e porticati immensi, popolata solamente da pipistrelli e uccelli stigei. “Ecco dove si trova il Sacro Pungolo”, mi disse allora il dio. “Cercalo, perché senza quello il Fethrund non avrà mai alcun Baldench.” Poi scomparve, senz’altro aggiungere, con un sonoro pop.»
Cram-Hupah tacque un momento, poi, volgendosi verso il monaco, che pareva lo ascoltasse ancora, gli chiese:
«Tu che sei fra tutti i talponi il più istruito e che conosci tutti i libri antichi hai mai udito parlare di una città simile?»
«Sì, i libri fanno menzione di quattro grandi città, cadute in rovina da secoli e secoli, e che sarebbero state popolate un giorno da un popolo immenso, e narrano che in una di esse sarebbe stato veramente sepolto il Sacro Pungolo di Krustulas, dopo la sua ultima incarnazione.»
«Anch’io ho udito, nella mia gioventù (quando non ero ancora sceso nel Fethrund, perché sono in parte Goblin, per parte di madre, che aveva sposato un fattorino; ma mio nonno era nato nell’alto Vorrz, ed era arrivato con i mercenari della Regina Priraz… ma non divaghiamo), parlare di rovine imponenti e soprattutto d’una immensa città, che si dice fosse stata eretta da un re leucrotta. Quante ne so, eh?»
«Dove si troverebbe quella città?» chiese il Talpone.
«Ho udito parlare del lago misterioso di Zolph-Urplah,» disse l’untuoso ministro.
«Se Krustulas ti ha ispirato, tu devi parlare subito al re, onde si organizzi una spedizione che vada a cercare nella città del re leucrotta il Sacro Pungolo.»
Il ministro scosse la testa, poi fissando sul monaco, che lo guardava con stupore, i suoi occhi obliqui dal lampo giallastro, gli disse:
«Tu che sei uomo-talpa di religione, credi che Krustulas mi sia apparso in sogno per indicarmi veramente il modo con cui il Fethrund potrà riavere i Baldench?»
«Sì, giacché tu lo avevi pregato una notte intera.»
«Ebbene, io dò a te l’incarico di recarti dal re e di dirgli che Krustulas ti è comparso in sogno. Tu, ministro della religione, sarai meglio creduto di me.»
«Ma tu, ministro, rinunci agli onori che ti spetterebbero se il Pungolo Benedetto si trovasse.»
«Li cedo a te, quegli onori; io ne ho avuti abbastanza. Sono troppo buono, vero?»
Il monaco cadde in ginocchio dinanzi al ministro, esclamando:
«Tu sei il coboldo più generoso che io abbia conosciuto sulla terra. Che cosa potrò fare per te?»
«Salvare Vronch e stornare dal suo capo la collera del re. Non voglio che quel prode cada in disgrazia,» disse il ministro, fingendo una profonda commozione.
«In qual modo?»
«Consigliare il re a mandare Vronch in cerca del Sacro Pungolo. Se egli lo trova, come spero, perché anch’io non dubito che Krustulas m’abbia indicato il luogo dove è sepolto, la sua riabilitazione sarà completa.»
«Oh, coboldo generoso! Oh fontana di saggezza! Tu sei il più leale e il più cavalleresco ministro del regno!» esclamò il talpone.
«Si, certo, certo. Ora va’, un palanchino t’aspetta alla porta della mia casa ed il re a quest’ora non deve essersi ancora coricato. Conto su di te e sulla tua segretezza, uomo-talpa.»


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