La Città del Re Leucrotta – Cap. IX

Sul Fulukh

 

A mezzodì, dopo aver pranzato in compagnia, Vronch, il dottore e Ukhurra, su un palanchino retto da otto snotling sfiancati, lasciarono la villa, avviandosi verso il molo fluviale dove era ormeggiato un piccolo ma appariscente dirigibile a pedali, che in quelle terre viene chiamato balòn.
Era stato fatto venire dal cantiere dove era stato rimesso a nuovo a tempo di record; qualche anno prima, aveva subito un incidente con una chiatta carica di poponi, ed era rimasto semiaffondato nella melma fino a quando Vronch non aveva avuto abbastanza soldi per ripararlo; e Fang, che aveva ricevuto tutte le istruzioni, l’aveva equipaggiato con gente scelta ma fornita del minimo necessario per affrontare quella pericolosa spedizione: viveri, armi, vesti di ricambio, coperte, tende ed altre cose ancora, per lo più illegali, suggerite dal dottore che non era nuovo ai viaggi di contrabbando.
Eriprando aveva indossato un nuovo casco di leggera flanella bianca, si era strette le gambe entro alte uose di cuoio per difenderle dai morsi dei serpenti, numerosi non meno che in Imar e nelle foreste di Uruth, e riparato il casco da un altro casco di legno di tasso coperto di tela, leggero e ottimo riparo contro i colpi di sole e i poponi che cadono dagli alberi. Vronch, che non apprezzava la praticità dei vestiti umani, aveva rinunciato senza rimpianti alle sue camicie, alle sue fasce di seta ricamate e ai suoi sandali infradito, assolutamente inefficaci a riparare i piedi dalle erbe dure, taglienti e velenose delle foreste, per indossare un costume informe e variopinto, completo di un altissimo cappello conico bianco e rosso, col cerchio d’oro, distintivo del suo grado, e forse aveva fatto bene, anche se nessuno lo credeva, perchè quel distintivo datogli dal re lo avrebbe fatto rispettare e anche temere. Ukhurra invece indossava una corazza di anelli, rinforzata da piastre di rame, ricamata d’oro e crisopazi, stretta alla cintura da un’alta fascia borchiata, enormi calzoni di squame di basilisco, aveva sostituito agli zoccoli degli stivali chiodati, di pelle di chissà quale bestia, e si era messa in capo un ampio elmo di bronzo a forma di fungo velenoso, ornato d’un piccolo serpente dorato dall’aria bieca.
Dovettero aiutarla a salire sollevandola con un paranco, conducendola sotto l’enorme pallone di tela che si ergeva al di sopra del dirigibile; si sedettero accanto a lei sui cuscini cremisi e diedero il segnale della partenza.
Tosto le cinque paia di eliche, manovrate da dieci garzoni, si misero a ronzare ed il dirigibile si sollevò dalla riva abbandonando la superficie del viscoso Fulukh con un sonoro gloop.
Nelle loro barche volanti i Fethrundesi sfoggiano un lusso pacchiano e inverosimile, e tanta è la loro passione per quei mezzi di trasporto, che non vi è coboldo che non venderebbe la mamma per averne una. Il dirigibile di Vronch non aveva che cinquanta piedi di lunghezza, con una larghezza di dieci ed era stato scavato nel tronco d’un albero della ghisa, legno quasi incorruttibile e che può durare perfino un secolo, purchè rimanga sempre in un campo magico attivato nei sotterranei di un castello inespugnabile. Altrimenti molto meno. I costruttori gli avevano dato forme accettabili e l’avevano, col ferro e col fuoco, ovvero a suon di bastonate e superstiziosi scongiuri, reso leggerissimo senza comprometterne troppo la solidità. La prora, altissima ed affilata, reggeva una grottesca testa di maiale dipinta in rosso e giallo; i bordi erano scolpiti artisticamente e dorati; la poppa, un po’ meno alta e artistica della prua, era munita di una codina attorcigliata e d’una specie di sedile rialzato, su cui stava il timoniere armato d’un lunga pertica che doveva servire a manovrare le valvole del pallone o a picchiare i marinai svogliati. Nel centro, dietro il bracere che alimentava il pallone, s’alzava un baldacchino di tela rattoppata a frange multicolori, sorretto da quattro colonnine, e arredato con cuscini per quattro coboldi e volendo anche per sei, dodici se erano snotling, oppure due hobgoblin e una banshee o uno gnoll e sei halfling o una salamandra dei ghiacci. Ai due lati due parasoli di tela, distintivo di nobiltà, si ergevano per parecchi metri, l’uno color rosso, l’altro azzurro, decorati con faccioni e scritte offensive per le imbarcazioni che incrociavano. Dieci pedalatori, quattro a prua, seduti a due a due sui banchi, e sei dietro il baldacchino imprimevano alle eliche della bizzarra imbarcazione spinte vigorose, che la facevano filare liscia come una scialuppa a vapore nel bel mezzo di una burrasca. Erano tutti giovani snotling, dalle braccine rachitiche e stente, ma dalle gambe robustissime per l’abitudine di questa razza di confidare nella fuga come mezzo di risoluzione dei problemi; erano quasi nudi, non avendo indosso che uno straccio a quadrettoni ed una fascia stretta ai fianchi che saliva fino alla metà del petto. Fang li aveva scelti con cura fra i numerosi schiavi del generale e si poteva contare assolutamente sulla loro fedeltà e sulla loro devozione: erano troppo stupidi per essere comprati o corrotti. Il dirigibile, spinto da quelle eliche manovrate con energia, filò dinanzi al palazzo reale, ben al di là della gittata massima degli sputatori imperiali, e ai colossali templi che giganteggiavano sulla riva e ben presto si trovò fuori dalla città, fra due rive coperte da una lussureggiante e pericolosa vegetazione.
Numerose barche, e altri dirigibili, s’incrociavano ancora, giacché il movimento fluviale è sempre vivo fino a Gaglarup, l’antica capitale Fethrund, dove il fiume è ostruito dalla fanga e dalla sporcizia accumulatesi nel corso dei secoli. Più su s’arresta e cessa affatto oltre Orag-Mahld, giacché i Fethrundesi concentravano tutto il loro commercio nel basso corso del fiume. Grosse barche, assai panciute, trainate da enormi dugonghi parlanti, e guidate solamente da battellieri sordi, scendevano per trasportare alla capitale il raccolto dei campi; lunghissime canoe, montate da famiglie intere, cariche di frutta e di tuberi tossici, s’incrociavano con il dirigibile, affrettandosi a cedere il passo alla vista della sua ombra, giacchè gli snotling amavano defecare e gettare rifiuti d’ogni sorta dalle murate, per alleggerire, così dicevano, la nave; gondole somiglianti a quelle Denziane, col rostro di granito anziché di metallo, radevano le rive, dove grossi draghi-tartaruga prendevano il sole. Sulle due rive, lontane l’una dall’altra non meno di due chilometri, delle splendide vedute si offrivano invano agli sguardi annebbiati del dottore.
Gruppetti di capanne, seminascoste fra boschetti di funghi giganti ondeggianti alla brezza; qualche tempio diroccato che emergeva dalla vegetazione come un dente marcio; sconfinate aree brulle e radioattive sulle quali volteggiavano stormi infiniti di avvoltoi e stirge; e poi campi di canne, piantagioni di pietre, gruppi di banani illusori, di palme venefiche, di fangostani, di giganteschi uldoul i cui rami si piegavano sotto il peso delle grossissime frutta, irte di punte d’acciaio, ma contenenti una polpa deliziosa che, anche se puzza d’aglio fradicio, si fonde in bocca come una medusa e ha il sapore di aglio fradicio. Mah.
Di quando in quando, torme di yak di pianura, dallo sguardo torvo e sanguigno e dalla fronte armata di corna enormi, guidati dall’esemplare più grosso e attaccabrighe, s’aprivano il passo fra le alte canne che ingombravano le rive, e andavano a cercar rissa. Oppure si profilava improvvisamente, su quello sfondo verdeggiante, l’imponente massa grigia di qualche enorme uomo-elefante, occupato a saccheggiare le case dei contadini.
Sui sentieri costeggianti il fiume si vedevano invece passare drappelli di mercenari carichi dei raccolti dei contadini, che imprecavano poco distanti; qualche talpone dalle vesti quadrettate, in cerca di tapioca; o qualcuno di quei bettolieri ambulanti di razza incerta che sono così numerosi nelle campagne fantasy, tipi caratteristici e bizzarri, che girano per locande proponendo lavori equivoci e loschi. Già da sei ore il dirigibile aveva lasciato la capitale, ormai scomparsa dietro l’immensa cortina di foschia, e il generale aveva dato ordine di cercare un buon approdo per passarvi la notte, non essendovi in vista alcun villaggio, quando la sua attenzione fu improvvisamente attirata da una decina di cavalieri, che galoppavano sfrenatamente sui loro maiali, costeggiando la riva destra del fiume.
Quantunque essi scomparissero subito dietro gli alberi e i mazzi giganteschi di bambù che crescevano lungo la sponda, egli ebbe però il tempo di osservarli.
«Non sembravano Fethrundesi, costoro,» disse al dottore, che si era alzato per guardarli prima che sparissero.
«Avevano le forme troppo massicce per esserlo,» rispose Eriprando che, senza sapere precisamente perché, aveva provato un’inesplicabile inquietudine.
«Saranno gnoll al servizio di qualche satrapo o valvassino, che si recano fino a Gaglarup a prendere forse qualche bestia strana. Mi hanno detto che quel parco già rigurgita di cocatrici e che il re ha ordinato di venderne una buona parte. Ma nessuno le vuole, e vorrei anche vedere.»
«Vi è un parco immenso nell’antica capitale?»
«Gigantesco, e non vi si trovano mai meno di cinque o seicento mostri erranti.»
«Tutti appartenenti al re?» chiese il dottore.
«Tutti i mostri che vengono catturati in qualunque punto del regno sono di proprietà reale,» rispose Vronch.
«Sicché se io, rischiando la pelle, ne prendessi uno, dovrei consegnarlo agli ufficiali di Woorplah ?»
«Certo, caro il mio dottore.»
«E se ne uccidessi qualcuno?»
«Beh, sono punti. Però non la passereste liscia, anche nella vostra qualità di non-coboldo ignorante e stolto,» rispose Vronch. «Il re è gelosissimo dei suoi diritti sui mostri sacri che si trovano nelle terre del suo regno.»
«Sicché se un povero diavolo venisse assalito da uno di quei cristoni, non avrebbe nemmeno il diritto di difendersi?» chiese il dottore.
«No. Cazzi suoi.»
«Questa è strana; vi assicuro però, generale, che non mi lascerei certamente schiacciare o stritolare o pietrificare o ciucciare il cervello per rispettare i diritti di Woorplah .»
«È molto vero,» rispose il generale.
«E quindi? Che cosa dovrei dunque fare, in simili incontri?»
«Fuggire senza cercare di difendersi o di offendere la creatura.»
«Io lo farò di certo.»
«Nei paesi che dovremo percorrere non vi saranno ufficiali reali incaricati di sorvegliare i mostri erranti che scorrazzano per le immense boscaglie del settentrione,» disse Vronch, con una risatina subdola. «Quindi potrete difendervi e anche… ehm, uccidere senza avere dei fastidi. Non so se mi spiego, dottore. Oh, ecco là una piccola insenatura dove potremo piantare il nostro campo senza essere disturbati e cenare tranquillamente senza spegnere il fuoco nella nostra imbarcazione.»
«Era anche ora,» disse Ukhurra, che ascoltava i loro discorsi, stravaccata sui cuscini come una balenottera. «Non vi pare, dottore?»
«Eh? Ehm.. come no? Un luogo dove, domani mattina, potremo… ehm, cacciare per qualche ora,» rispose Eriprando.
Ad un cenno di Vronch, Fang, il quale teneva il lungo remo uncinato, punzecchiò gli snotling per dirigere il dirigibile verso la riva destra, che formava una curva rientrante, fiancheggiata da meravigliosi gruppi di funghi alti sei metri e da alberi di poponi carichi di enormi frutti. Il penultimo sole calava allora rapidamente in mezzo a una nuvola rossastra, mentre immense bande di trampolieri fantasma scendevano sulle rive del fiume, nascondendosi fra le canne e fra gli ammassi di bambù, e già le tenebre cominciavano ad addensarsi sotto le foreste di alberi della ghisa che si stendevano per miglia e miglia lungo le sconfinate risaie.
«Il luogo è deserto e passeremo una notte tranquilla,» disse Vronch. «Nessuno verrà a disturbarci.»
Ormeggiarono il dirigibile ad un albero, poi mentre Fang, aiutato da un battelliere, preparava la cena, gli altri snotling rizzarono le tende di grosso feltro per i padroni ed improvvisarono con pochi bastoni e poche foglie, delle leggere tettoie. Nel Fethrund e così pure in tutte le altre regioni d’Oriente, o nei dungeon, o in locanda, non è prudente coricarsi senza aver prima innalzato un riparo, specialmente lungo il corso dei fiumi e soprattutto in prossimità delle coste. Le notti sono umidissime, piuttosto fredde a paragone dell’intenso calore che regna di giorno, e si fa presto a prendere un colpo di machete in mezzo alle scapole, o altri malanni stagionali.
Il dottore, Vronch e Ukhurra, in attesa che la cena fosse pronta, fecero una breve esplorazione nei dintorni per sgranchirsi le gambe, raccogliendo qua e là delle banane che erano giunte a perfetta maturazione ma che scomparvero poco dopo, e sparando qualche colpo di fucile contro gli uccelli stigei che non si erano ancora ritirati nei loro nidi; una fucilata del dottore colpì accidentalmente la nonna di Vronch, e solo la sua corazza potè evitare una tragedia; poi tornarono verso l’accampamento, che era stato illuminato da parecchi fuochi fatui, dove Von Basedoff potè medicarsi le numerose ecchimosi e lussazioni che ne aveva ricavato.
Cenarono alla lesta, scambiarono malvolentieri quattro chiacchiere, poi, scelti i turni di guardia, si ritirarono ognuno nella rispettiva tenda, dopo essersi ben accertati che non vi fossero serpenti o scolopendre o piroblatte. Eriprando non chiuse occhio.


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