Kaprawoulf: CAP XVI

l-kaprawoulfa Triste Ballata di Manølo da Zeermelø

“Quezta cansone io zolo canto,
zu quezta terra con tono affranto,
poichè in un balen fummo conquiztati,
dai bruti invazi, derizi, zbeffeggiati.
E or del Gorgonsuela ziamo vazzalli,
provincia, feudo, financo zimbelli.
Una guarnigion promezza mi fu,
ma di zoldati non ne ho vizti, e tu?
Ora Sermelo giace in rovina
e Fanfulla, zua nuova regina,
ha promulgato dasi, impozte e balselli,
a noi cittadini mizeri, imbelli.
La giada fluizie nelle zue cazze,
e a noi poveretti ha aumetato le tazze.”

“Dammi retta, Eriannaroncolalarinca…”
“Erinnarinnirahannarica!”
“Eh?”
“Il mio nome è Erinnarinnirahannarica.”
“Quel che è. Non è questo il momento di fare i pignoli. Dobbiamo scappare, l’esercito del Gorgonzuela è entrato in città.”
Kaprawoulf stava cercando di spingere la ragazza fuori dall’agenzia di collocamento mentre Flaffenberg e il platano tenevano la porta aperta.
“Va bene, va bene. Non è il caso di prendersela. E poi che ci dovrei fare coi pinoli? Vanno bene col gorgonzuela?”
“Quali pinoli?”
I due arrivarono sulla porta giusto in tempo per vedere le feroci armate del Gorgonzuela svoltare l’angolo nella loro via.
Tornarono frettolosamente indietro e si nascosero dietro la scrivania seguiti a ruota da Flaffenberg, Platano, sgabello e bombetta. Erinnarinnirahannarica guardò i suoi compagni per qualche secondo.
“Certo che c’hai degli amici ben strani anche tu.”
“Ma cosa… ti sembra il momento?”
“Scusa.” Erinnarinnirahannarica si strinse nelle spalle.
La fanteria gorgonzuelica passò davanti all’agenzia in uno sferragliare di carri a vapore e pompe idrauliche. I soldati, nelle tradizionali divise violette con i fiocchi di glassa, marciavano intonando solenni canti militari.
“La bella la va al fosso, ravanei remulass barbabietole spinass tré palanche al mass. La bella la va al fosso, al fosso a resentar, ohei, al fosso a resentar!”
Quando l’esercito fu transitato (sic) la compagnia potè finalmete uscire e si trovò di fronte al deserto. Non nel senso di quello con la sabbia, erano pur sempre in città, ma dopo che era passato l’esercito non si vedeva più nessuno in giro. Capite? Ma che ve lo chiedo a fare.
Insomma uscirono. E tra le macerie della un tempo gloriosa (bè, si fa per dire) Tapinambour si aggirarono finchè non furono attirati dal suono di un ukulele lontano.
“Odo un ukulele.” disse la bombetta.
“Oddio un hulkulele! Il terribile mostro hulkulele! Fuggiamo finchè siamo in tempo!” urlò Erinnarinnirahannarica.
“L’ukulele è uno strumento musicale.” Osservò la bombetta.
“A corda.” precisò lo sgabello mandandole l’equivalente sgabellesco di un’occhiata languida.
“Ma temibile, vero?” chiese Erinnarinnirahannarica ancora spaventata.
“Non tanto.” Osservò Flaffenberg.
“Bè, dimenticate la tremenda invasione degli ukulele del ’59.” Pensò il platano, che però non disse una parole. Per ovvi motivi.
“Viene da là.” disse Kaprawoulf.
“Bene, allora sediamoci e aspettiamo qui.” disse Erinnarinnirahannarica.
“Eh?”
“Bè se viene da là, prima o poi arriverà qua. Aspettiamolo.”
“Ineccepibile.” pensò il platano.
Al chè, pazientemente, Kaprawoulf tentò di spiegarle.
“No, Erinnirhiannarauca. Il suono viene da là. Il suonatore…”
“…sta seduto su un cumulo di macerie.” concluse Flaffenberg che nel frattempo era andato avanti qualche metro.
“Ma io son stanca.”
“Ma siamo appena usciti.”
“Che ci vuoi fare, mi stanco in fretta.”
Kaprawoulf guardò Erinnarinnirahannarica, guardò il suonatore di ukulele dieci metri più avanti, poi si incamminò verso il suonatore sentendo indelebilmente che il suo cuore stava rimenendo legato alla stupida fanciulla incontrata appena pochi capitoli fa. Già una volta Kaprawoulf aveva legato la milza ad un trattore e non era finita per niente bene. Ma che ci volete fare?
“Posso risalirti in spalla?” chiese Flaffenberg. “Anch’io sarei un tantino stanco.”
E così l’allegra combriccola raggiunse il tristo suonator di ukulele.

“Fratelli, zodali, amici e parenti
da quezti opprezzori mezchini e fetenti
ziam ztati zpremuti come poponi maturi
per quanto vogliamo ancora che duri?
Io dico ora bazta!
Prendiamo le armi, attressi e bagagli
leviamo le tende e a men che mi zbagli
zaremo lieti e felici in quel di Lignano Zabbiadoro!”
Il nano gigante ex console legato ora deposto alzò la testa dal suo ukulele cercando l’approvazione della folla.
La folla era costituita da uno sgabello, una bombetta, un uomo che portava in spalla un altro uomo e un platano.
Una ragazza era seduta per terra con aria indisposta pochi metri più indietro.
“Bè?” chiese Manølo.
“Bello schifo!” rispose Kaprawoulf.
“A me è piaciuta.” protestò Flaffenberg dalle spalle dell’amico.
“Dove zono tutti? C’è un gran zilensio…”
“Bè, con l’esercito del Gorgonzuela che ha raso al suolo mezza città credo che siano scappati tutti.” fece notare la bombetta.
“Già. Come dargli torto. Quindi mi za che zon dizoccupato. Va bè. Zignifica che è ora di zparire in atteza che giungano tempi migliori. Ecco qua, ragasso, quezte sono le chiavi della città e queste le chiavi del mio ufficio e quezte le chiavi del mio apino. La città è nelle tua mani ora, nel mio ufficio troverai tutte le rizpozte che cerchi e l’apino… bè, in effetti mi zerve per andare a Lignano Zabbiadoro, quindi, se non ti zpiace, potrezti ridarmi le chiavi? Grassie.”
Il tristo suonatore di ukulele si allontanò mesto mentre un refolo di vento portava con se l’immagine di un pinguino ritto sul bordo della strada ad una certa distanza dal gruppo. Lo sguardo del pennuto era di ghiaccio e fisso su Kaprawoulf. Sullo sguardo di Kaprawoulf è meglio non soffermarsi troppo, vi basti sapere che non era troppo sveglio. Al solito.
“Quak!” urlò il pinguino. E improvvisamente silenzio e immobilità calarono sulla città immobile e silenziosa. Quindi non è che cambiasse gran che. Certo se ci fosse stata più gente e più movimento la differenza sarebbe stata più evidente, ma tant’è.
“Quak!” urlò di nuovo il pinguino.
“Mi sa che ce l’ha con te.” disse Flaffenberg allontanandosi di soppiatto.
Kaprawoulf alzò gli occhi e il suo sguardo incrociò quello del pinguino. La città era già silente e immota, quindi su questo particolare d’ora innanzi sorvoleremo.
“Eh?” chiese Kaprawoulf.
“Quak!” ribadì perentorio il pennuto.
ZAM!

L’allegra Samba di Manølo da Lignano Sabbiadoro
“Ahiahiahiahi!
Io zono Manølo col sombrero a nolo
una volta ero legato all’incarico di legato
ma poi vennero i bruti dal Gorgonsuela usciuti
e Tapinambour da me amata in poco riduzzero a frittata!
Ohiohiohiohiohi!
Laziai il lavoro con un certo decoro
e da allor dimoro a Lignano Zabbiadoro.
La tequila è zchifoza, la marea limaccioza,
Ma dormendo tutto il dì, direi che mi va bene cozì!
Uhiuhiuhiuhiuhi!”


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