Kaprawoulf: CAP XIII

d-kaprawoulfRIIIIIIIIIIIIIIIN!
Silenzio.
DIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
Silenzio.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
Ancora silenzio.
HO DETTO DRIN ECCECCAZZO!
Ermenegesto Primo, sovrano indiscusso della Terra del Freddo Lontana e Inospitale, abbassò le parole crociate e guardò torvo il telefono. Da quando aveva assunto Ludmilla Grissina come segretaria il semplice atto di rispondere al telefono era diventato un calvario.
DIIIIIIIIIIN PERLAMISERIA! E’ FORSE UN CONCETTO TANTO DIFFICILE? Urlò il telefono.
Con un sospiro Ermenegesto sollevò il ricevitore.
“Capo, sono Ludmilla!”
“Lo so chi sei, e poi dovresti chiamarmi Maestà, non credi?”
“Certo capo! Come vuoi! Volevo dire, certo Maestà!”
“Che c’è?”
“Niente, è che non riesco ad abituarmi a questa cosa di maestà, signoria, eccetera.”
“No, intendevo dire, Che cosa succede? Perchè mi chiami?”
“Ah! Giusto! E’ una telefonata!”
“Lo so che è una telefonata, mica pensavo mi chiamassi urlando dall’altra ala del castello. Volevo solo sapere perchè mai, di grazia, mi stai chiamando al telefono.”
“No, capo, cioè maestà. E’ una telefonata il motivo della telefonata. C’è la regina Fanfulla Seconda di Gorgonzuela sulla linea 7. E comunque mi chiamo Ludmilla, capo, non Grazia, volevo dire maestà, capo.”
“Ossignore!”
“Gliela passo, signore? Cioè maes…”
“Ecco, brava.”
“Provvedo, capo.”
Il fruscio di elettrcità statica durò solo una frazione di secondo in più del sospiro del sovrano della Terra del Freddo Lontana e Inospitale.
“Pronto?” disse il re.
“Ermenegesto! Quanto tempo! Come te la passi?”
“Fanfulla! Che piacere sentirti! Si tira avanti, al solito, imponi una tassa, rimuovi un balzello. Sai com’è la vita del regnante. E tu come stai? E come sta la piccola Zoccola?”
“Piccola Zufola, intendi.”
“Certo, certo. Zufola. Come, no. Come sta?”
“Bene. La piccolina ha appena compiuto gli anni e sai come sono a quest’età.”
“No. Non lo so. Come sono?”
“Sono tanto dolci. Ma non gli si può negare niente che se no ti piantano su un casino frignando per una settimana che poi chi lo sente l’oculista.”
“L’oculista?”
“Ehm, perdonami. Non so chi mi scriva i dialoghi.” Disse Fanfulla lanciando un’occhiata feroce nella mia direzione.
“Ma dimmi, Fanfulla, come mai mi hai chiamato, dopo tanto tempo?”
“Ecco, Ermenegesto, caro. Ha proprio a che fare con il compleanno della piccola Zufola. Non ci crederai, ma indovinaun po’ che cosa mi ha chiesto?”
“La casa della barbie?”
“No…”
“Il Piccolo Forno “Questo lo cucino io ma te lo mangi te” DeGonghi?”
“No, ha…”
“Lo so! Ha chiesto un Troll nano da compagnia di nome Gorgo.”
“No, Er…”
“Aspetta! Ci sono…”
“Ermenegesto! Con “indovina un po’” non intendevo dire che dovessi effettivamente indovinare.”
“Ah no?”
“No.”
“E allora come faccio a sapere che cosa ha chiesto Piccola Scrofala?”
“Zufola.”
“Zufola, certo.”
“Magari te lo dico io? Eh? Che ne pensi?”
“Ehi! E’ un ottima idea. No voglio dire, tu lo sai di certo, sei la mamma, e lo ha chiesto a te e quindi…”
“Ermenegesto!”
“Sì! Taccio. Cosa ha chiesto?”
“Ecco. E’ buffo, ma vedi, la piccola vuole radere al suolo una città.”
“Che carina. E’ proprio tutta sua mamma.”
“Tapinambur.”
“Già il cipiglio della dittatrice la piccolin… cosa?”
“Già. Mi spiace. Pensavo fosse il caso di dirtelo, sai. Dato che credo stiamo per scendere in guerra.”
“Quando?”
“Mah, più o meno… adesso. L’esercito dovrebbe essere alle porte della città giusto ora.”
“Ma…”
“Bè, si è fatto tardi. Ermenegesto caro, ti saluto che l’oculista mi aspetta (ndr non è colpa mia, giuro). Stammi bene.”
“Ma… ma…”
“Ci sentiamo per le trattative della resa. Buona guerra, mio caro.” e riappese.
Il ricevitore rimase muto per qualche secondo. Ermenegesto esitò a riagganciare.
“Ludmilla?”
“Sì capo?”
“Stavi origliando?”
“Sì capo.” Ci fu un attimo di silenzio in cui Ermenegesto Primo avrebbe potuto sospirare ma si trattenne.
“Wow capo! No dico, quanto sei furbo e sgamato.”
Ermenegesto sospirò con rassegnazione.
E così l’esercito del Gorgonzuela, passata placidamente la dogana, raggiunse le porte di Tapinambur proprio mentre nella capitale il telefono di Ermenegesto Primo squillava di nuovo.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
Ermenegesto abbassò le parole crociate e guardò il telefono con la segreta speranza che non squillasse di nuovo.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
“Sigh.” Certi giorni non c’è proprio niente da fare.
“Pronto?” chiese sconsolato Ermenegesto.
“Pronta, capo. Sono Ludmilla, ricorda?”
“Sì, certo. Scusa.” sospirò il sovrano.
Silenzio.
“Ludmilla?”
“Sì capo?”
“Mi hai chiamato per un motivo, vero?”
“Ah certo, capo. C’è un motivo. Sicuro.”
“E vorresti anche dirmelo, di grazia?”
“Ludmilla.”
“Certo. Scusa.”
“E’ Manolo.”
“Manolo o Ludmilla? Di grazia.”
“Chi?”
“Cosa?”
“Grazia?”
“Eh?”
“Capo?”
“Ok. Ferma lì. Cominciamo da capo. Perchè mi hai chiamato, Ludmilla?”
“Comincio da capo, capo. Io sono Ludmilla, non Grazia. E c’è Manolo. Ma non qui. Al telefono.”
“Tutto chiaro. Finalmente.”
“Glielo passo?”
“Eh, magari.”
Ermenegesto abbassò la testa lentamente sul tavolo, accanto alle parole crociate.
“Maeztà!” La voce allarmata di Manolo arrivò allarmata, appunto, dall’altro lato del telefono.
“Sì…” rispose mestamente il sovrano indiscusso della terra del Freddo Lontana e Inospitale.
“Ztanno arrivando…”
“Lo so.”
“E hanno…”
“Lo so.”
“E noi ziamo…”
“Lo so.”
“Woa! Maeztà! Za già tutto!”
“Eh! Che ci vuoi fare?”
“E allora adezzo che facciamo?”
“Niente. Lo prendiamo in quel posto, direi.”
“Non zembra una gran bella prozpettiva, maeztà? No, dico, zoprattutto per me, che zon qui, mentre quei bruti arrivano con l’ezercito a menar massate a deztra e a manca.”
Manolo, alla prospettiva d’esser invaso dall’esercito del Gorgonzuela cominciò a singhiozzare al telefono senza alcun ritegno o dignità.
“Va bene. Va bene, Manolo, stai calmino. Ti mando una guarnigione, contento?”
“Zi, maeztà. Grassie.” Sospirò Manolo tirando su con il naso.
E fu così che iniziò quella che sarebbe poi stata ricordata come la Breve Guerra della Giada e delle Mazzate Invereconde che portò in pochi giorni alla caduta di Tapinambur e estese il dominio di Fanfulla Seconda su territori che non interessavano a nessuno.


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